La prima parte è sugli Stati Uniti per la duplice ragione che Wall Street guida i mercati del reddito variabile, nonché per la completezza delle informazioni che si hanno. La seconda parte è sull’Italia, non come epicentro degli interventi decisi e da decidere dell’Unione Europea, ma come analisi della sua vulnerabilità

 

 

Dalla bolla alla caduta: il mondo ante e post virus

Osserviamo l’andamento ultimo degli indici delle azioni negli Stati Uniti e in Europa: https://markets.ft.com/data/indices/tearsheet/summary?s=INX:IOM. Da ottobre 2019 fino al picco di metà febbraio 2020 si ha un andamento identico fra due sponde dell’Atlantico - una crescita del venti per cento; da metà febbraio - dal picco, si osserva una caduta molto simile - una flessione del trenta per cento; seguita, infine, da un rimbalzo che porta gli indici a un trenta per cento di flessione dal massimo raggiunto a febbraio e un quindici per cento di flessione dall’ottobre dello scorso anno.

Abbiamo avuto - tornando ai soli Stati Uniti, una combinazione di un mercato azionario caro ormai da qualche anno e di un evento inatteso e improvviso - il Corona virus.

Da tempo gli utili non crescevano: https://www.federalreserve.gov/releases/z1/20200312/z1.pdf, Tavola F 103. Nonostante questo andamento che certo non favoriva la spinta al rialzo, il mercato delle azioni saliva lo stesso trainato soprattutto dal settore della tecnologia, intanto che molti titoli erano sostenuti dagli acquisti di azioni proprie: https://www.ft.com/content/e4694c40-7348-11ea-95fe-fcd274e920ca. Con il tutto che avveniva in un contesto di tassi - il costo del debito, e di rendimenti - il fattore di sconto, in sostanza nulli.

Questo dei rendimenti nulli è l’argomento centrale di politica economica del quale si dibatte da molti anni: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/4660-ifigenia-fra-bolle-e-stagnazione.html. In passato si pensava che, seppur in un mondo di rendimenti nulli, i mercati finanziari avrebbero giudicato - ovvero premiato oppure punito, le politiche fiscali dei diversi Paesi. Ciò che sarebbe avvenuto con un rendimento maggiore in cambio di un rischio maggiore. Nel caso italiano, lo spread, diventato con il tempo un icona pop. Con le politiche monetarie che sostengono quelle fiscali entrambe volte a fermare l’impatto negativo del Corona virus questo ruolo - per così dire giudicante, dei mercati finanziari viene meno: https://www.ft.com/content/10ccd445-1703-42d2-8fba-169404a0af8a. Non solo, ma è anche una vittoria delle cicale sulle formiche: https://www.economist.com/europe/2020/03/26/how-grasshoppers-triumphed-over-ants-in-europe.

Se le cose erano fino a poco più di un mese fa messe in questo modo, perché i mercati continuavano a salire e perché poi sono scesi di colpo?

Prevaleva la modalità classica dell’imitazione - se tutti comprano, allora il mercato sale, quindi anche io compro, ovviamente con il tutto - ossia un andamento a forma di bolla, combinato alla mancanza di un evento esterno davvero negativo - un evento come il Corona virus che cambia le carte in tavola: https://stumblingandmumbling.typepad.com/stumbling_and_mumbling/2020/03/on-unpredictability.html.

Giunto l’evento esterno inteso e improvviso ecco che entrano subito in scena le vendite allo scoperto: https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/asset-allocation/5330-all-epoca-del-corona-virus-la-speculazione.html, nonché i margini di copertura di chi opera a prestito, margini che diventano insufficienti: https://www.econopoly.ilsole24ore.com/2020/03/26/bolla-debito-margin/. La caduta per l’agire degli scoperti e della copertura dei margini insufficiente diventa per cos’ dire emorragica.

Dalla caduta in poi: il mondo post virus

Come possiamo immaginare gli andamenti futuri? Abbiamo due opzioni.

— Senza la quarantena e con tutte le attività economiche che procedono, si dovrebbe avere un andamento esplosivo dei casi di Corona virus. Un andamento esplosivo che crea un divario enorme fra la capacità effettiva di curare - che è rigida nel breve periodo, e il numero di persone che hanno bisogno di cure. Avremmo alla fine un’economia che in qualche modo procede insieme a un gran numero di trapassati. Nel linguaggio ormai diventato pop avremmo l’economia che è preferita alla salute. Nel primo grafico la linea rossa rappresenta la prima opzione: https://www.foreignaffairs.com/articles/world/2020-03-26/flatten-curve-infection-and-curve-recession-same-time

— Con la quarantena con le sole attività economiche essenziali che procedono, non si dovrebbe avere un andamento esplosivo dei casi di Corona virus. Un andamento contenuto che non crea un divario fra la capacità effettiva di curare - che è rigida nel breve periodo, e il numero di persone che hanno bisogno di cure. Avremmo un’economia che si blocca insieme un modesto numero di trapassati. Si noti che gli effetti del Corona virus invece di durare, come nel caso della prima opzione, ormai nota come “effetto gregge”, per un tempo limitato, allungano la propria presenza nel tempo. Nel linguaggio ormai diventato pop avremmo la salute preferita all’economia. Nel primo grafico la linea blu rappresenta la seconda opzione: https://www.foreignaffairs.com/articles/world/2020-03-26/flatten-curve-infection-and-curve-recession-same-time.

Quasi tutti i Paesi hanno scelto la seconda opzione. La scelta ha delle sfumature, la quarantena è più o meno rigida, ma alla fine questa sembra la strada intrapresa. Sono state fatte delle scelte di intervento monetario e fiscale senza precedenti. Nonché di notevoli interventi di garanzie dei crediti. Questo super intervento della mano pubblica, non poteva - non si avevano alternative per evitare l’avvitamento con tutti i problemi sociali che ne sarebbero venuti fuori, che seguire questa strada - almeno nel breve periodo.

Si hanno due importanti nodi e pure intricati da ricordare. I problemi sociali - legati alle diseguaglianze di opportunità che si potrebbero manifestare nelle aree dove hanno poco tempo fa vinto i populisti: https://www.economist.com/britain/2020/03/26/how-covid-19-exacerbates-inequality?. E il maggior ruolo dello stato che potrebbe aversi anche quando la crisi finisse. Nella storia ad un grande intervento dello stato non è mai seguito un suo subitaneo ritiro: https://www.economist.com/briefing/2020/03/26/rich-countries-try-radical-economic-policies-to-counter-covid-19.

La crisi da Corona virus combinata con la quarantena ha un impatto immediato sui consumi non durevoli - nessuno esce di casa e quindi niente ristoranti e viaggi, ma anche sui beni di consumo durevoli il cui riacquisto è rimandato, e sugli investimenti - almeno fino a quando non si avrà una capacità produttiva diventata insufficiente. L’impatto negativo - a differenza di altre crisi recenti, come quella del 2008, non si ha solo sul lato della domanda, ma anche su quello dell’offerta, perché le economie sono molto più integrate che in passato e lo sono in catene produttive transnazionali - le global value chain: https://voxeu.org/article/trade-and-growth-end-era.

Si sono fatti dei conti sull’impatto immediato della crisi. Alcuni stimano una disoccupazione - in numeri assoluti, ragguardevole: https://www.stlouisfed.org/on-the-economy/2020/march/back-envelope-estimates-next-quarters-unemployment-rate. Altri con numeri assoluti meno elevati, ma comunque con percentuali elevate: https://www.economist.com/united-states/2020/04/01/how-high-will-unemployment-in-america-go.

Alla fine Wall Street

Stimare gli andamenti degli utili - negli Stati Uniti e non, con un margine di errore che sia accettabile è oggi un’operazione impossibile. Se non possiamo dire nulla sulla dinamica dei profitti, possiamo però immaginare quella dei rendimenti. Con una politica monetaria così lasca e così lasca per tutto l’orizzonte prevedibile essi non dovrebbero proprio salire, anzi dovrebbero restare nulli o quasi.

Abbiamo così l’incognita della dinamica dei profitti e una ragionevole conoscenza di quella dei rendimenti. Se non possiamo dire nulla - in termini quantitativi, della dinamica dei profitti, possiamo però ragionevolmente pensare che le grandi imprese siano messe meglio di quelle medie e piccole, sia per le maggiori quote di mercato che controllano sia per la maggiore solidità patrimoniale che mostrano: https://www.economist.com/business/2020/03/26/the-pandemic-shock-will-make-big-powerful-firms-even-mightier.

Insomma, quando si potrà intravvedere un pavimento per i prezzi delle azioni - e non ci siamo ancora, le grandi imprese sembrano le candidate migliori. Per ora ma anche per un orizzonte più esteso le imprese piccole e i titoli junk non offrono una combinazione di rischio e rendimento che si possa definire accettabile.

Resta un caveat, e nemmeno di poco conto

Esiste un campo di ricerca non molto conosciuto detto dei “modelli di crescita”: https://journals.sagepub.com/doi/pdf/10.1177/0032329216638053. Una digressione rende l’idea di quanto illuminanti siano le conclusioni di quest’approccio: https://www.foreignaffairs.com/articles/americas/2020-03-30/us-economy-uniquely-vulnerable-coronavirus

Il Regno Unito è trainato dalla finanza, dall’immobiliare, e, soprattutto, dal consumo interno. Ergo per far fronte al Corona virus la politica economica migliore è quella di garantire i consumi. Ed è ciò che stanno facendo. La Germania, all’opposto, è trainata dalla domanda estera e quindi sono le imprese esportatrici che vanno protette e “tenute in forma” in caso di crisi. Il taglio delle ore di lavoro e la garanzia degli assetti patrimoniali di queste ultime è ciò che stanno facendo.

Gli Stati Uniti sono trainati come il Regno Unito dai consumi interni. A differenza di quest’ultimo non hanno uno Stato Sociale per assorbire gli choc. Gli choc nel caso statunitense sono assorbiti dalla flessibilità del mercato del lavoro - via la variazione dell’occupazione e dei salari. In condizioni di crescita normali le spese delle famiglie sono maggiori dei salari percepiti grazie alle diverse forme che assume il credito. Inclusi i debiti accessi per usufruire dei servizi sanitari: https://www.singlecare.com/blog/medical-debt-statistics/.

Perciò in caso di crisi grave, negli Stati Uniti e a differenza dell’Europa Occidentale, i salari e la componente creditizia non sono bilanciati dallo Stato Sociale. Ergo in caso di crisi il sistema statunitense è salvato attraverso l’intervento in campo finanziario, e non per caso e neppure per complotto, ma perché questo continui ad erogare credito alle famiglie. Quindi, e a differenza della Gran Bretagna dove l’intervento in caso di choc è sui consumi, e della Germania, dove l’intervento in caso di choc è sulla preservazione delle imprese esportatrici, negli Stati Uniti l’intervento in caso di choc è attuato rafforzando il settore finanziario.

Questa è la modalità tradizionale per affrontare una crisi grave, uno choc non devastante, nei tre succitati Paesi.

Nel caso degli Stati Uniti resta da chiedersi se uno choc come quello di oggi di gran lunga peggiore di quello di dieci anni fa possa essere assorbito solo salvando la finanza ed aspettando che il mercato del lavoro si aggiusti alle nuove condizione attraverso una variazione dei salari e dell’occupazione. La crisi del Corona virus potrebbe, infatti, durare per un tempo maggiore di quello che il sistema vigente degli Stati Uniti, un sistema senza degli istituti volti ad assorbire gli choc come quelli europei, possa reggere. E se la crisi da Corona virus durasse troppo potrebbe sorgere la tentazione di far ripartire l’economia togliendo la quarantena. In questo modo, se si sbagliasse la previsione intorno al contenimento del virus, si rischierebbe una crescita dei contagiati e quindi una crisi sanitaria.

La fragilità del Bel Paese

Per prima cosa e per chi fosse interessato questi link servono a congelare le argomentazioni che molti propongono sull’Italia vittima dei molti egoismi dell’Unione Europea. In ogni caso, per ora non si è visto un vero dramma sul nostro debito pubblico: https://www.borse.it/spread/rendimento/BTP/1080 proprio perché esiste ed è previsto un intervento dell’Unione in campo finanziario - attraverso gli acquisti anche illimitati del debito publico, e fiscale - attraverso la sospensione dei vincoli di Maastricht. Si veda: https://www.lavoce.info/archives/64886/tre-opzioni-per-sostenere-leconomia/; https://www.ilfoglio.it/economia/2020/03/25/news/si-fa-presto-a-dire-eurobond-307071/?underPaywall=true; https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/mes-cose-e-come-funziona-25385

In Italia si ha un gran numero di imprese di piccola e piccolissima dimensione, cui si associa una quota di lavoratori autonomi, che è la più elevata tra i paesi avanzati. Le imprese italiane nel settore privato non finanziario hanno, infatti, una dimensione media di appena 3,9 addetti contro i 6,9 dell’Unione Europea; quelle con meno di 10 addetti impiegano il 47 per cento degli occupati contro il 29 per cento medio dell’Unione. Le imprese sopra i 250 addetti sono molto poche e relativamente piccole, con una quota di occupati di poco superiore al 20 per cento contro valori superiori al 30 per cento nei principali Paesi europei.

La nostra struttura produttiva frammentata non è figlia del destino “cinico e baro” bensì delle scelte fatte nel Secondo dopoguerra. Allora fu preferito il “piccolo”, che si supponeva alimenti la “solidarietà”, alle grandi concentrazioni, che si supponeva fossero legittime se pubbliche. Insomma, la grande strategia del Secondo dopoguerra fu il “piccolo” preferito al “grande privato”, combinato con una spesa pubblica - per le pensioni, la sanità, l’istruzione - volta ad acquisire il consenso necessario per la modernizzazione democratica.

Con l’arrivo del corona virus il sistema italiano, dove le prevalgono le imprese piccole, è messo peggio di quello dei Paesi con un numero ben maggiore di imprese medio grandi. Le imprese piccole sono meno solide delle altre in caso di crisi. E questo suona ovvio. Ma non è tutto. In Italia prevale la combinazione di imprese piccole che hanno un debito molto elevato. Alla difficoltà nel pagare i lavoratori, se la produzione e quindi il fatturato si ferma, va aggiunto la difficoltà di onorare il debito.

Per tutte le economie prevale questa combinazione che rende molto difficile gestire la crisi da corona virus:

— Il modello del just in time - il modello in origine della Toyota - per cui i magazzini sono riempiti al minimo, perché riforniti in modo continuo da imprese terze. Se si interrompe la fornitura a causa del corona virus, ecco che il magazzino resta vuoto e la produzione non può andare avanti.

— Il modello della global value chain, delle catene di valore globali. Con questa modalità organizzativa gli ingegneri californiani progettano il telefonino che gli operai cinesi producono con i processori coreani. Se il corona virus sorge in Cina, allora niente telefonini. Se sorge in Corea, ancora niente telefonini. Se sorge in California di nuovo niente telefonini. Altrimenti detto, l’interazione avanzata rende vulnerabile la produzione globale. https://www.foreignaffairs.com/articles/2020-04-01/how-pandemic-proof-globalization

Detto che il just in time e la global value chain mettono in difficoltà tutte le economie al tempo del corona virus, aggiungiamo ciò che tipicamente italiano: il leverage, ossia l’indebitamento elevato delle piccole imprese che sono particolarmente fragili in caso di crisi.

Con l’arrivo del corona virus tutte le economie vanno, in misura diversa, in crisi dal lato dell’offerta per le ragioni dette: just in time, global value chain, leverage. Anche dal lato della domanda tutte le economie vanno, seppure in miniera diversa, in crisi, ma questo andamento è più facile da osservare perché i cinema, i ristoranti, gli alberghi, eccetera, o sono chiusi o sono vuoti.

La crisi mondiale, che ha all’origine l’arrivo di una variabile non prevedibile - il corona virus, si sarebbe, per le ragioni dette - il just in time, il global value chain, il leverage, comunque manifestata. Questo però vale come tendenza. Come accelerazione della tendenza ha agito la lentezza con cui sono stati decisi - ma non era facile capire che cosa fare agli esordi della crisi, i molti provvedimenti necessari per schiacciare la curva di diffusione dell’epidemia - il flattening the curve.

Il ragionamento sull’Italia è uscito su Linkiesta: https://www.linkiesta.it/2020/03/economia-italia-coronavirus/

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