Come dicono gli americani, la partita termina solo quando la grassona inizia a cantare l’inno nazionale. La partita in corso è la flessione dei corsi di borsa. La grassona, che finalmente canta, è il segnale che la caduta è terminata, che i corsi di borsa prima si stabilizzano zigzagando e poi riprendono a salire.


Negli ultimi mesi la grassona ha iniziato a cantare due volte, intorno ad agosto ed intorno a dicembre, e tutte e due volte il microfono le è stato improvvisamente tolto. Negli ultimi tempi il microfono non le è stato neppure dato.


Ma andiamo con ordine. Quella attuale è una crisi che trae origine dalla caduta del prezzo di una parte dei crediti (che si estrinsecano in mutui ipotecari impacchettati in forma di obbligazioni, che hanno un prezzo) delle banche. La crisi rileva a seconda dell’entità della caduta dei prezzi di queste obbligazioni. Le modalità di una caduta dei prezzi non possono che essere tre: debole, forte, molto forte.


La prima – la caduta debole - è la meno pericolosa. Gli investitori si rifiutano di comperare ai prezzi normali un’attività finanziaria, come un pacchetto di mutui ipotecari, non perché pensino che non valga ormai nulla, ma perché hanno paura che, se tutti si fanno prendere dal panico, allora tutti si metteranno a vendere disordinatamente, facendo cadere molto i prezzi. Questa prima tipologia di crisi, in cui gli operatori cominciano ad avere meno fiducia nel sistema finanziario, ha un nome – “crisi di liquidità” – e si cura facilmente. La banca centrale finanzia le banche, e quindi queste non hanno bisogno di vendere le proprie attività in crisi a prezzi stracciati per far fronte agli impegni con altri operatori. La crisi dopo qualche tempo finisce, perché si vede che nessuna istituzione di peso è in una qualche difficoltà significativa. In agosto il primo intervento della FED era stato fatto avendo in mente questa modalità. La borsa, scommettendo che l’azione della Federal Reserve avrebbe alla fine funzionato, era subito rimbalzata. La cantante grassa aveva, fra il tripudio delle folle, iniziato a intonare l’inno.


La seconda modalità – la caduta forte - è più pericolosa. I prezzi delle obbligazioni (che impacchettano i mutui) cadono, perché gli investitori si convincono che essi non saranno mai più così alti per anni. Intanto che i prezzi cadono sui mercati finanziari, si vede che cadono anche i prezzi sui mercati reali, nel nostro caso anche i prezzi degli immobili sono in discesa. Si pensa che questa discesa potrebbe durare molto tempo. Si finisce allora col pensare che tutti quelli che hanno dato in garanzia dei prestiti accesi con le banche il proprio immobile, diventeranno dei debitori a rischio. La crisi si aggrava, perché si teme che si finisca col passare dalla crisi dei soli mutui impacchettati in obbligazioni anche a quella dei crediti al consumo . Questa seconda modalità ha un nome: “crisi di insolvenza”. In questo secondo caso la banca centrale abbassa il tasso di interesse a cui le banche si indebitano (nel sistema di riserva federale) e dichiara (o fa capire chiaramente) che lo terrà basso fino a che è necessario. Non vengono “punite” le istituzioni che si sono esposte malamente. Per evitare che il sistema si indebolisca, e quindi che tutti ne risentano, una quota della popolazione, chiamiamoli i “malaccorti”, viene graziata. I tassi restano bassi fino a quando il sistema non si riprende. Gli interventi successivi della Federal Reserve, avvenuti negli ultimi mesi del 2007, erano stati fatti avendo in mente la modalità della “crisi di insolvenza”. La borsa, flessa qualche tempo dopo il primo intervento, perché sospettava che la “crisi di liquidità” potesse alla fine trasmutarsi in una “crisi di insolvenza”, era alla fine rimbalzata verso l’inizio di dicembre, peraltro meno della volta precedente, di nuovo scommettendo sull’efficacia dell’azione della Federal Reserve. La cantante grassa aveva, fra gli applausi non troppo entusiastici delle folle ormai provate, iniziato a intonare l’inno per la seconda volta.


La terza modalità – la caduta molto forte - è un’estensione della seconda, ed è, si arguisce, la più pericolosa. In questo caso, i prezzi delle obbligazioni legate agli immobili e i prezzi degli immobili stessi cadono molto e tutti pensano che ci vorranno anni ed anni perché possano risalire. Le banche quindi devono o dovranno registrare le perdite e quindi ridurre il proprio capitale. Riducendosi il capitale, il credito viene erogato meno facilmente. L’economia potrebbe andare in recessione, ossia non crescere o flettere per qualche trimestre, per la depressione dei consumi. In questo secondo caso si pensa che sarà molto difficile che la politica dei tassi tenuti bassi a lungo possa da sola “salvare la partita”. Si arriva velocemente alla conclusione che ci vuole dell’attivismo molto marcato, una politica monetaria molto espansiva. E nel caso anche questo non bastasse, si dovrebbe chiamare in soccorso il “settimo cavalleria”, la politica fiscale. La caduta dei corsi di borsa, circa un 10% nelle prime settimane di gennaio, ha innescato questo processo. La Federal Reserve ha tagliato i tassi improvvisamente prima della riunione ufficiale convocata per la fine del mese. I politici, non resistendo al fascino di mostrare di avere anche loro il potere di “salvare la partita”, hanno subito promesso una politica fiscale più attiva. Eppure, nonostante questo doppio attivismo, non si è ancora creato un clima di fiducia. Spuntano come funghi i “sospettosi” e gli ”scettici”. I primi pensano che una politica monetaria, diventata improvvisamente troppo espansiva, sia il segno che la banca centrale tema, certo non dicendolo apertamente, il peggio. I secondi pensano che la politica fiscale non è per sua natura tempestiva, il tempo richiesto per legiferare è infatti lungo, e che, quando gli ultimi tagli alle imposte arriveranno, saremo almeno in estate e quindi potrebbe essere tardi. Alla cantante grassa negli ultimissimi tempi non viene, a differenza delle due volte precedenti, neppure dato il microfono. “Un momento, signora, vediamo come va a finire”, le si dice distrattamente.


Pubblicato su L'Opinione il 30 gennaio 2008