Vivendo in un’economia globale, si finisce per parlare della Cina. Nel caso degli Stati Uniti, perché la Cina detiene una quota rilevante del suo debito pubblico. Nel caso dell’Europa, perché molti suoi settori industriali sono sotto la pressione della concorrenza cinese. La Cina sembra “invincibile”.


E’ un caso tipico in cui si vedono i propri difetti e non quelli altrui. Per parafrasare (al contrario) il Vangelo, si vede la trave nel proprio occhio e la pagliuzza in quello altrui. Di seguito cerchiamo la trave nell’occhio cinese.
 

Le caratteristiche macroeconomiche della Cina sono: (1) l’alto tasso di sviluppo, (2) l’alto tasso di sviluppo delle infrastrutture, (3) l’alto tasso di risparmio.
 

(1) La crescita è formidabile, pari al 10% l’anno, ma la Cina è partita da una base modesta. Se la base da cui uno parte è 100, una variazione di 10 è una crescita del 10%. Se la base da cui uno parte è, invece, 1.000, una variazione 10 è una crescita solo del 1%. Ma la variazione assoluta è, nei due casi, identica. La Cina è partita da una base modesta, un’economia agricola povera con una industria pesante inefficiente. Come possa esplodere la crescita in una economia arretrata si capisce immaginando un contadino che smette di usare la zappa per salire su un trattore. Un contadino con il trattore produce quanto decine di contadini con la zappa. Immaginiamo ora la costruzione di molte città, dove i contadini in esubero vanno a lavorare, riuscendo a mangiare lo stesso, perché il contadino con il trattore produce alimenti per tutti. (2) I contadini arrivano in città, alcuni vanno a lavorare nelle fabbriche, altri a costruire strade, a posare binari, ecc. La città A è collegata con la città B con un solo treno. Poi nasce la città C. I treni diventano tre, A con B, A con C, B con C. Poi nasce la città D. I treni diventano sei. Se solo nasce la città E, allora i treni diventano dieci! Per fare in fretta i conti sui collegamenti basta seguire la formula N(N-1)/2. Alla crescita dei treni, va aggiunta quella delle strade, delle reti telefoniche, ecc. Questo è il tipo di crescita che si ha oggi in Cina. S’introducono nuove tecnologie nelle campagne, si spostano i contadini in città, si costruiscono le infrastrutture moderne, e voilà! Si ha una crescita “da primato”. (3) Questa crescita esplosiva si manifesta in un paese che non ha costruito un sistema pensionistico e sanitario pubblico e diffuso all’europea, né un sistema pensionistico e sanitario meno pubblico e meno diffuso, alla statunitense. Circa il 15% della popolazione cinese anziana ha una pensione, circa il 60% della spesa sanitaria deve essere affrontata dai privati, in assenza di un sistema assicurativo. I cinesi devono risparmiare moltissimo per mantenere oggi i propri genitori e domani se stessi. Allo stesso tempo, devono risparmiare moltissimo caso mai finissero all’ospedale, e non risparmiare poco, come avverrebbe con una buona assicurazione (dove i rischi condivisi con moltissime altre persone fanno scendere il costo individuale). Questa crescita esplosiva avviene in un paese povero di risorse naturali. La disponibilità di acqua per abitante è pari a un quarto della media mondiale. Infine, questa crescita avviene in un paese che ha una demografia negativa. Le donne in età fertile non solo sono in diminuzione come numero assoluto, ma fanno anche meno figli.
 

Vediamo la composizione dell’economia moderna cinese. Essa è composta (1) dal settore pubblico e da quello privato, con quest’ultimo suddiviso (2) in quello autoctono ed (3) in quello integrato con l’estero. Il punto (3) spiega una quarta caratteristica macroeconomia della Cina: la crescita delle esportazioni. (1)I cinesi sono riusciti a rendere più efficiente il loro settore pubblico, che controlla sia i beni base (come le miniere di carbone, il petrolio) sia le infrastrutture (le reti elettriche, telefoniche, di comunicazione). Le imprese pubbliche, soprattutto quelle a bassa tecnologia sopravvissute al socialismo, hanno un debito enorme nei confronti del sistema bancario, che è rimato pubblico, un controvalore non molto inferiore alla metà del prodotto interno lordo. A differenza di quel che avveniva con il sistema socialista tradizionale, il potere cinese non controlla questi settori in maniera diretta, e, quando può, li porta in borsa, ma mantenendone il controllo. Questa scelta non è solo ”cinese”, accade anche in Russia, dove il ministero del gas si è trasformato in Gazprom, che è quotata. (2) Oltre alle imprese pubbliche, spesso quotate, ci sono le imprese private dei “cinesi” e dei “non cinesi”. Le prime non sono ancora riuscite a produrre dei veri “campioni nazionali”, come, per esempio, i coreani con la Samsung, ma hanno dei tassi di crescita molto elevati.

(3) Le altre sono all’origine della metà delle esportazioni, ed all’origine della quasi totalità delle esportazioni con qualità tecnologica elevata. Nel valutare la forza competitiva cinese va quindi tenuto conto che è la tecnologia non cinese assemblata dagli operai cinesi ad essere esportata.


Fin qui la Cina in grande sviluppo. Ma la Cina ha ancora metà della popolazione nel settore agricolo, che tutto è salvo un esempio di efficienza. Centinaia di milioni di persone dovranno quindi spostarsi nei prossimi decenni verso le città. Il reddito medio annuo in agricoltura è di 1.000 dollari, nell’industria di 3.000. La crescita deve continuare. I contadini che arrivano in città debbono trovare lavoro, a meno di lasciarli vivere in enormi favelas. La crescita deve continuare, ma diventando “biforcata”. Quella legata alla modernizzazione, le infrastrutture, ecc, per i contadini che andranno in città, e quella legata allo stadio successiva della modernizzazione, le produzioni tecnologiche sofisticate ed i servizi, per quelli che sono già inurbati. Concentriamoci sulla crescita per i cinesi già inurbati. Che cosa serve per spiccare il salto finale dello sviluppo, dove un’economia, diventa ricca, cresce ancora. Per riprendere l’esempio, dove una base ormai di 1.000 cresce solo del 1%, ma con questo 1% che è tantissimo in termini assoluti.
 

La risposta standard dice: un’economia centrata sui mercati con uno stato che promuove l’offerta di servizi come la sanità, l’istruzione, le pensioni, il tutto in una cornice di libera competizione fra partiti. I paesi ricchi, se escludiamo i paesi petroliferi con pochi abitanti, hanno queste caratteristiche, più di mercato nel caso degli Stati Uniti, più sociali nel caso dell’Europa e del Giappone. Non si è mai visto un paese che sia diventato e poi rimasto ricco senza queste caratteristiche. Dunque per diventare davvero ricchi, non per avere qualche ricco da ammirare, bisogna promuovere e regolare i mercati, spingere alla libera ricerca. Non tutti condividono la soluzione, che, invece, chi scrive condivide. Ci sono gli ammiratori della pianificazione, quelli che pensano che una catena di comando sia “verticale” sia “corta” in mano ad un gruppo dirigente capace possa far meglio di una catena di comando “orizzontale”, dove non rileva molto chi sta al comando. (Il sistema liberale preferisce il potere che non si concentra, quindi suddiviso fra entità sovrane, dove la cosa importante è che i politici non arrechino grandi danni. A tutto il resto provvedono gli individui liberamente associati).


Alcuni, orfani del comunismo, vedono nella tumultuosa crescita cinese la prova dell’efficacia del potere centrale forte, che lascia ai privati parte della produzione ed il commercio. La NEP “cinese”. Per dimostrare la propria teoria gli ammiratori della NEP cinese, portano come argomento al contrario la storia russa recente: la fine del PCUS, l’indebolimento dell’esercito, ed i furbi e gli spregiudicati che mettono le mani sui beni pubblici. Secondo i sostenitori di questa teoria in Cina queste brutte cose non succedono. (A proposito, quando l’URSS è caduta, l’urbanizzazione si era già compiuta ed esisteva un sistema industriale, seppure concentrato nel settore pesante). Grazie al partito unico e alla tenuta del loro esercito, i cinesi hanno potuto crescere tumultuosamente. Ma se la loro economia deve diventare sofisticata, questo sistema può ancora funzionare? Ossia, detto in altri termini, può darsi che il sistema con la catena di comando corta, partito unico, e nessuna associazione privata in grado di competere con il potere politico sia efficace come motore della prima industrializzazione, ma per promuovere la seconda industrializzazione potrebbe essere un freno. L’esperienza insegna che gli individui liberamente associati diffondono meglio le innovazioni nell’economia. Segue che i cinesi, fatta la NEP da “poveri”, dovrebbero, per diventare “ricchi”, compiere il passo successivo. E abbracciare la democrazia.
 

La Russia è uscita dal socialismo “sviluppato” con un salto nella democrazia. La Cina è uscita dal socialismo “sottosviluppato” con una guida autoritaria. Anche lo shock economico provocato da quello politico la Russia lo ha già vissuta. Che cosa accadrà in Cina per ora non lo sappiamo. Ai tempi della caduta dell’URSS e dell’inizio della crescita cinese ci si chiedeva se fosse meglio avere prima la “rivoluzione politica” e poi la “rivoluzione economica”, oppure la direzione contraria. In un certo senso il “putinismo” è stato un tentativo tardivo di tornare sulla “via cinese” e di fare le cose “giuste”. Se proviamo a misurare le vicende umane solo con i tassi di crescita dell’economia e solo per qualche decennio, sembrerebbe che i cinesi avevano ragione. Anche se negli ultimi anni i tassi di crescita russo e cinese non sono stati troppo diversi, seppure con motori differenti, nel primo caso l’esportazioni di materie prime, nel secondo di merci prodotte con tecnologie straniere. Entrambe le economie dovranno sottoporsi ad una ulteriore modernizzazione, che richiederà inevitabilmente un maggior grado di libertà economica e politica. Sia in Russia che in Cina le maggiori società dell’energia e delle infrastrutture sono quotate, ma restano legate direttamente o indirettamente al potere. In Russia però il potere, a differenza del PCC, deve andare alle elezioni. La Cina non è ancora pronta a shock politici come si è visto bene nella vicenda tibetana, quando degli scontri di livello locale – nulla a che vedere con la guerra in Cecenia, o con il cannoneggiamento di un parlamento con carri armati – hanno prodotto una crisi a Pechino. Paradossalmente i “maledetti anni novanta” con le guerre, il golpe, gli oligarchi, i default, e tutto quello che oggi viene considerato un incubo, in realtà potrebbero costituire un vantaggio competitivo della Russia, che ha già prodotti gli anticorpi per un virus del quale gli altri devono ancora prendere il contagio.
 

Pubblicato su Gazeta.ru il 3 luglio 2008 e, in forma ridotta, su L'Opinione l'11 luglio 2008