Nonostante il prezzo del greggio sa arrivato a 130 dollari gli effetti, che tutti si immaginano come una riedizione del 1973 e del 1980, non si sono fatti ancora sentire. Si potrebbe argomentare che questo è dovuto alla minor importanza dell’energia di natura minerale in una economia composta soprattutto di servizi. Moltiplichiamo allora il prezzo medio del barile di ogni anno per il numero di barili che, per esempio, gli Stati Uniti consumano sempre ogni anno; poi confrontiamo questo valore col valore complessivo della produzione di beni e servizi, ossia il PIL.

Come si vede dal grafico 1. ci stiamo avvicinando ai numeri del passato. I numeri del 2008 sono quelli del primo trimestre. Siamo appena arrivati al livello, circa pari al 4% del PIL, prevalente nel periodo 1973 – 1983. Non desta quindi meraviglia che finora non siano stati registrati dei contraccolpi importanti. Se il prezzo restasse sopra i 120 dollari al barile nel 2008, arriveremmo al 6% del PIL.
  
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La domanda llora è se si hanno dei segnali che il prezzo del greggio stia “mordendo” oppure no.
Prendiamo il consumo di benzina e vediamo. Si tenga presente che nel 2007 il prezzo medio del barile è stato di 70 dollari, nel 2008 è intorno a 100. Il grafico 2. mostra una flessione non molto marcata del consumo. Mentre abbiamo, come mostra il grafico 3. una flessione della domanda di autoveicoli che consumano molto. La domanda dei famigerati SUV sta declinando. Insomma cominciano a scendere i consumi e incomincia a cadere la domanda di veicoli costosi da un punto di vista energetico.
 
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Sta appena iniziando la correzione. Per avere un’idea dell’oggetto del contendere, si tenga conto che, se gli statunitensi usassero le stesse automobili degli europei, quindi non il calesse, le biciclette, e nemmeno i motori ibridi, ma semplicemente le automobili europee, o meglio fatte come quelle europee, il risparmio energetico sarebbe pari alla produzione annuale dell’Iran.
 
Sta iniziando la correzione lenta. Il costo dell’energia non ha effetto solo sui consumi intermi, ma anche sul commercio internazionale. Costa di più il trasporto aereo e marittimo. Il trasporto di un container dalla Cina agli USA costa oggi tre volte più che nel 2000. Se il petrolio andasse a 200 dollari, il costo del trasporto triplicherebbe. (Si ricordi che nel 2007 il barile è costato in media 70 dollari, quindi 200 è circa il triplo). Quindi era pari a 100 nel 2000, è diventato 300 nel 2008, ed andrebbe, se hanno ragione quelli che immaginano il petrolio a 200 dollari, in un paio di anni, a 900 dopo il 2010. Le economie si “deglobalizzano” per colpa del caro petrolio, ossia per il maggior costo del trasporto. Non si hanno dei numeri molto diversi per il trasporto aereo. Insomma, per dirla con una immagine, il Messico, con la ascesa del prezzo del petrolio, è favorito rispetto alla Cina.
 
Per concludere uno potrebbe chiedersi quanto queste vicende, quelle legate ai costi del trasporto, siano state importanti nel passato. Uno studio, fatti i conti, mostra, grafico 4., la caduta dei costi di trasporto dal 1870 al 1910, ai tempi della prima ondata di globalizzazione, da 125 a 75. Poi la ripresa dei costi da 75 a ben 450 durante la Grande Guerra. La caduta sotto il valore di indice di 125 fino al 1925 e poi la ripresa dei costi fino a 150. Sono stati importanti per la deglobalizzazione, che è misurata dal grafico 5. La globalizzazione, misurata come nterscambio su PIL mondiale, era salita dal 5% del PIL mondiale alla fine del settecento, al 20% agli inizi del novecento. Poi è scesa al 10% prima della seconda guerra. Oggi è al 25%.
 
  
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