Nelle puntate precedenti (I e II), si è parlato degli aspetti virtuosi del grande amore tra due potenze emergenti: India e Sudafrica. Adesso però merita riflettere sulle debolezze strutturali di ciascun Paese. Soprattutto quelle interne, spesso condivise, che ridimensionano la paura di noi occidentali di trovarci di fronte a un unico gigante.

L’analisi degli assetti demografici dei due Stati può fugare molti timori. L’India, con il suo miliardo e 200 milioni di abitanti, resta la grande madre della popolazione futura. Il Sudafrica al contrario – 48 milioni di abitanti, ma soprattutto una decrescita demografica dello 0,4% – rischia di diventare una nazione disabitata. Un territorio immenso, il nono per estensione tra i Paesi africani, sempre meno abitato. Quindi terra di potenziale immigrazione – magari proprio dall’India – ma anche esposta all’abbandono e alla desertificazione. Del resto, tanta gente non aiuta la produttività, ma nemmeno poche braccia.

C’è poi il discorso del tenore di vita. In Sudafrica almeno il 50% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In India gli indigenti sono circa il 30%. Per inciso: per soglia di povertà si intende la disponibilità quotidiana di un dollaro, senza la quale è impossibile vivere in qualunque angolo del pianeta. La statistica non dice nulla su quanti siano gli indiani o i sudafricani che sbarcano il lunario con poco più di questa cifra. È logico pensare che siano tanti. Campare con due, tre, ma anche con cinque dollari al giorno è senza dubbio un’impresa. Quindi non si fa peccato a gonfiare le percentuali appena citate.

Terzo problema condiviso è la propagazione dell’Aids. Il Sudafrica è il primo Paese al mondo per infetti. Siamo al 17% della popolazione. In India i casi si abbattono allo 0,3%. Stiamo però parlando del secondo Paese al mondo per popolazione. Sicché la percentuale irrisoria si trasforma in un numero da capogiro. Sono 2,4 i milioni di indiani malati di Aids. E con essi il subcontinente schizza alla terza posizione mondiale nella classifica della sindrome. Totale malati dei due Paesi: 7,4 milioni. È come se tutta Londra ne fosse affetta.

Concettualmente, per India e Sudafrica si intendono due nazioni proiettate nel futuro grazie a una sorprendente crescita economica e a una presenza altrettanto importante sul mercato internazionale dei loro beni prodotti. Questo però non significa che si abbia a che fare con dei giganti affermati del capitalismo. Al contrario i rispettivi sistemi produttivi si stanno dimostrando privi degli anticorpi necessari per far fronte alla crisi finanziaria mondiale. Il semplice fatto che il tasso di disoccupazione indiano (30%) e quello sudafricano (25%) non si siano contratti in corrispondenza della crescita degli ultimi anni induce a ridurre l’entusiasmo.

Ma è soprattutto nell’ambito della struttura sociale che India e Sudafrica non sono riuscite a compiere un salto di qualità. Le due nazioni, per quanto esempi dell’emancipazione dal fardello soggiogante dell’uomo bianco, non sono state in grado di realizzare quella rivoluzione sociale che avrebbe permesso una più equa distribuzione sia delle risorse economiche sia dei poteri decisionali. O più semplicemente non l’hanno voluto.

Torniamo ai due eroi nazionali della prima puntata. Il Mahatma Gandhi era un esponente della casta dei commercianti, educato alla maniera britannica e che – pur di levarsi di torno l’Impero di Sua Maestà – fece un patto con il diavolo. Ovvero con l’aristocrazia terriera dei Pandit e guerriera dei Brahmini. Jawaharlal Nehru, i cui diretti discendenti detengono saldamente il potere a Delhi, non aveva nulla a che spartire con i suoi connazionali derelitti. Dall’indipendenza proclamata nel 1947, emerse una repubblica federale che, solo per i numeri, oggi si vanta di considerarsi la più grande democrazia del mondo. Il sistema castale venne decretato illegittimo, senza però che venisse sradicato dalla mentalità della popolazione. Così chi era ricco e potente rimase al vertice dell’economia nazionale. Gli oppressi, emancipati a norma di legge, continuarono a essere trattati come tali e a considerarsi inferiori. L’economia dirigista – assemblato traballante di socialismo e pietas gandhiana – partorì una riforma agraria che tolse buona parte dei terreni coltivabili agli agricoltori tradizionali, ridistribuendoli a chi di agricoltura non aveva mai sentito parlare.

Una cosa simile sta succedendo ora in Sudafrica. Una volta conquistato il potere, l’Africa National Congress – ricorrendo a metodi estremisti quanto estremista era l’apartheid – ha pensato bene di espropriare le terre dei bianchi per darle a nuovi proprietari neri. Anche qui senza intuire che non ci si improvvisa agricoltori dall’oggi al domani. In questo il destino del Sudafrica sembra già scritto. Basta vedere cos’è successo nel vicino Zimbabwe, dove, a seguito della cacciata dei coltivatori bianchi, l’economia è collassata.

Conversione sociale non effettuata, know-how gettato al vento, ma soprattutto mancato regolamento di conti con il passato. Il colonialismo in India e l’apartheid in Sudafrica sono stati trattati alla stregua di due cadaveri di cui il nuovo establishment voleva disfarsi sbrigativamente. Senza farne l’autopsia. E soprattutto senza chiedersi se del “caro estinto” ci fosse un’eredità.

Le conseguenze non sono difficili da definire. I governi di Delhi e Johannesburg si stanno dimostrando soggetti dalla repressione facile e poco inclini al dialogo democratico. L’India sta gestendo la questione degli stupri in un modo tutt’altro che democratico. Lo stesso dicasi per la controparte sudafricana circa lo sciopero dei minatori l’estate scorsa. Inefficaci, d’altra parte, sono risultate le iniziative di marketing internazionale con cui entrambi i Paesi hanno cercato di farsi passare per Big. I mondiali di calcio del 2010 a Johannesburg e i Commonwealth Games a Delhi dello stesso anno si sono rivelati una fucina di tangentisti.

Da qui la domanda. India e Sudafrica: giovani potenze proiettate nel futuro, oppure locomotive terzomondiste che, per una qualche ragione hanno preso una discesa e quindi la loro velocità non può che aumentare? A rischio di schianto, ovviamente.

I più ottimisti dicono che, proprio perché giovani, queste due nazioni non possono che migliorare. In un futuro non molto lontano. Ma il problema è proprio nel futuro. Torniamo alla demografia. In India l’età media è di 26 anni; 25 per il Sudafrica. Le aspettative di vita però sono rispettivamente di 67 e 49 anni. Insomma, indiani e sudafricani sono giovani, poveri e muoiono presto. L’Eldorado è un’altra cosa.