Il Governo è "clinicamente morto". La disoccupazione registrata è salita di cinque punti percentuali tra dicembre e gennaio. Il settore bancario è in grande difficoltà e non è ancora riuscito a scongiurare del tutto l'ipotesi di dover fare ricorso al bailout. La popolazione è in rivolta. Sembra la Grecia, ma si tratta della Slovenia, che negli ultimi mesi ha scoperto di essere entrata nel novero dei malati d'Europa.

Ljubljana è infatti passata molto rapidamente dall'essere 'la locomotiva' della Jugoslavia alla bancarotta. Per anni, all'indomani dell'indipendenza, aveva potuto fregiarsi di essere un "esempio virtuoso" per le altre repubbliche della regione. Nel 2004, era stata la prima economia di transizione a passare da beneficiario degli aiuti della Banca Mondiale a donatore. L'integrazione in Europa era avvenuta senza il minimo intoppo, sostenuta dalla stabilità politica e da un'economia fondata sulle esportazioni (soprattutto verso Germania, Italia, Austria e Croazia) e foraggiata anche attraverso un settore bancario forse troppo permissivo.

A spezzare le illusioni del Paese e svelare la debolezza strutturale del sistema pensò la crisi del 2009. Come effetto della generale contrazione europea, infatti, il Pil sloveno subì una diminuzione tra il 6% (secondo l'ufficio nazionale di statistica) e il 7% (secondo stime del Fondo Monetario Internazionale), una tra le maggiori nell'intera area Euro,

Uno choc dal quale la Slovenia, a distanza di quattro anni, non è ancora riuscita a riprendersi. Dopo una breve crescita il Prodotto Interno Lordo è tornato a contrarsi, diminuendo dello 0,2% nel 2011 e di due punti percentuali nel 2012. La recessione è stata accompagnata, nel 2011, dallo scoppio della bolla immobiliare slovena. La crisi del settore fu la più grave in Europa, con una contrazione del 30%. Le due principali società immobiliari slovene, 'Vegrad' e 'STC', fallirono. I debiti del settore bancario, per i mutui "non performanti" divenuti ormai carta straccia, hanno cominciato a crescere oltre la soglia di guardia: a fine 2012, la loro entità era di 6,7 miliardi di euro, una cifra pari quasi a un quinto del Pil sloveno.

Quando le principali agenzie di rating hanno deciso il downgrade del Paese, nella scorsa primavera, le difficoltà del sistema finanziario erano ormai evidenti. Tra maggio e giugno, la Slovenia sembrava essere destinata, dopo Spagna e Grecia, a richiedere il bailout e l'intervento della Trojka.

Ljubljana ha dovuto imbarcarsi in una corsa contro il tempo per scongiurare questa ipotesi. Grazie a tassi di interesse rimasti contenuti, il Governo è riuscito a rifinanziarsi sui mercati internazionali emettendo nuove obbligazioni, e pagando di tasca propria la ricapitalizzazione della Nova Ljubljanska Banka, l'istituto più indebitato del Paese.

Al contempo, però, era inevitabile l'inizio di una stagione di austerità da parte dell'esecutivo guidato dai democratici (SDS) di Janez Janša. Le misure proposte dalla maggioranza per ridurre il deficit (tagli alla spesa; innalzamento dell'età pensionabile; iscrizione del pareggio di bilancio in Costituzione e nuove privatizzazioni) hanno suscitato il disappunto della sinistra slovena, raccoltasi attorno al partito "Slovenia Positiva". Il provvedimento che più di ogni altro catalizzava le critiche della sinistra e dei sindacati era quello che prevedeva la creazione di una 'bad bank', auspicata dalle istituzioni finanziarie internazionali e fortemente voluta dal Premier.

Mentre la politica s'industriava per contenere la spesa, lo scontento della popolazione cresceva. Il tasso di disoccupazione nel Paese è più che raddoppiato in quattro anni [figura 2], raggiungendo a fine dicembre 2012 il 12,2% e non accennando a diminuire.

Ad accendere la miccia della rivolta, alla fine di novembre, ci ha pensato una circostanza quasi banale. Una protesta a Maribor, contro il sindaco Franc Kangler e i suoi autovelox. Da Maribor, dove i manifestanti riuscirono a ottenere le dimissioni del loro primo cittadino, il movimento, sotto il motto "gotof je!" (è finita!), si è sparso a macchia d'olio al resto del Paese, soprattutto attraverso facebook, per reclamare le dimissioni in massa della classe politica.

Ad esasperare ulteriormente gli 'indignados' sloveni sono poi intervenuti due fatti. Il primo, a fine dicembre, è stato la decisione della Corte Costituzionale di non accogliere la richiesta di indire un referendum abrogativo, proposto dall'opposizione, sulla legge istitutiva della 'bad bank'. Una decisione che è apparsa a molti come un'espropriazione della sovranità popolare. Ma ciò che ha definitivamente esacerbato il malcontento è stata la pubblicazione in gennaio dei risultati dell'indagine condotta da una commissione anticorruzione, e dai sospetti da essa sollevati sulle attività di Janez Janša.

Da quel momento, sull'onda dell'indignazione popolare, la coalizione di Janša ha cominciato a perdere pezzi: la Lista Civica (DL), il Partito Democratico dei Pensionati di Slovenia (DEsus) e il Partito Popolare Sloveno (SLS) hanno abbandonato la maggioranza a poche settimane di distanza l'uno dall'altro. E il Governo è arrivato, per l'appunto, alla "morte clinicamente accertata", secondo l'espressione di Delo, il principale quotidiano del Paese. Janša non può più contare sulla maggioranza all'assemblea nazionale. Quello che tiene a galla l'esecutivo, per il momento, è unicamente l'istituto della sfiducia costruttiva previsto dalla Costituzione proprio per evitare i vuoti di potere: un voto di sfiducia è possibile solo nominando contestualmente un nuovo Primo Ministro.

Ma un sostituto, almeno per il momento, non si trova. E il Governo continua ad arrancare. Per molti analisti è ormai certo il ricorso alle elezioni anticipate. Sarebbero le seconde in poco più di un anno e l'instabilità politica di certo non aiuta il Paese, chiamato a fare i conti con il momento più difficile dalla propria indipendenza. Tanta gente nelle piazze non la si vedeva da quei giorni, e in questi vent'anni molto sembra essere cambiato nello spirito sloveno. In molti, oggi, cominciano a definirsi apertamente nostalgici del periodo comunista. Nelle manifestazioni rispuntano le bandiere Jugoslave. Gli Sloveni oggi rimpiangono la piena occupazione e la sicurezza del socialismo. L'Europa, anche a Ljubljana, comincia a fare paura.