Questa settimana affrontiamo tre argomenti che mostrano quanta parte del dibattito economico e finanziario dipenda da altri fattori. Riprendiamo 1) la vicenda di Brexit, che mostra il peso delle inerzie storiche, 2) quella del petrolio, che occulta l'importanza dello scontro fra Sauditi ed Iraniani, ed, infine, una novità, 3) la curiosa vicenda dei “valori” che sono tanto più al centro delle polemiche quanto più simili sono i programmi politici.

Di nuovo su Brexit

L'esito del Referendum della fine di giugno sulla permanenza della Gran Bretagna nell'Unione Europea è sommamente incerto. Di conseguenza è ragionevole assumere un 50% di probabilità di vittoria di Brexit e un 50% di probabilità di vittoria del non-Brexit. Il secondo caso – il non-Brexit - è meno importante del primo per la ragione che, alla fine, confermerebbe lo “status quo ante”. Dunque è del primo che rileva parlare.

La metà delle esportazioni della Gran Bretagna è verso l'Unione Europea, mentre il dieci per cento delle esportazioni dell'Unione è verso la Gran Bretagna. Da questo punto di vista, Brexit sembra insensata. Tralasciando l'impatto sull'industria finanziaria britannica, che certo non trarrebbe dei gran vantaggi in caso di Brexit. Dov'è mai il vantaggio “materiale” della Brexit (1)? Non si riesce a capire, salvo l'idea - tutta da dimostrare - che la Gran Bretagna, tornata libera di muoversi per conto proprio, otterrebbe dei gran vantaggi nei negoziati con le grandi area del Nord America e dell'Asia. Detto con il linguaggio “geo-politico”, la Gran Bretagna sceglie con Brexit l'opzione orgogliosa della “balena” (un animale libero di muoversi nei mari) a quella incatenata dell'”orso” (un animale ancorato alla terra, un animale tellurico).

Queste cose interessano però solo i britannici, a noi, che britannici non siamo, interessa l'impatto che si potrebbe avere nel Continente. Brexit potrebbe diventare il veicolo per la rinascita dello scetticismo (già presente) nei confronti della costruzione europea, giudicata da alcuni incapace di sopravvivere. La quale costruzione europea, va ricordato, nasce nel secondo dopoguerra come Europa Carolingia, ossia Benelux, Germania, Francia, e Italia, senza estensioni né oltre-Manica, né verso la Penisola iberica. (Tanto meno verso l'Est, che, ai tempi della nascita della costruzione europea, era ancora sotto il dominio sovietico). La spinta a ridimensionare l'Unione Europea, potrebbe remare nella direzione di un'Europa “centrale” ed una “periferica”. Della prima farebbero parte la Germania e i suoi “satelliti” (Austria, Olanda, Belgio), la Francia, e (con qualche ma ..) l'Italia. E così via andando, nella costruzione di scenari politici ed economici sempre più artefatti. Gli scettici naturalmente faranno notare l'incapacità di gestire i flussi migratori, e tutto quello che verrà loro in mente per mostrare quanto l'Unione Europea sia, in fondo, una costruzione artificiale.

Si potrebbe – se Brexit vincesse – avere così un periodo turbolento, frutto di uno scenario che si presta ad approfittare dei prezzi delle attività finanziarie in caduta. Più che una “verità” Brexit sarebbe una “scusa”, insomma. Una “scusa” con un 50% di probabilità.

1 - https://next.ft.com/content/e7a19bc4-c91a-3f8a-85b5-bd001de7adef

 

Di nuovo sul petrolio

Il petrolio è caduto dagli oltre 100 dollari al barile nel 2014 a circa a 25 dollari al barile nel febbraio del 2016. Da allora è risalito fino a 45 dollari al barile. La caduta è il frutto della sovra produzione. La risalita è il frutto dell'attesa di un congelamento – ossia la produzione di petrolio che resta invariata nell'attesa che la domanda assorba l'offerta stabilizzando i prezzi - della produzione, decisione che doveva essere presa in aprile durante la riunione dei Paesi produttori – OPEC più la Russia - di Doha (2). A Doha non è stata presa alcuna decisione sul congelamento, perché gli Iraniani non si sono presentati ed i Sauditi hanno dichiarato che senza un accordo corale non si poteva parlare di congelamento (3). Il prezzo del barile a quel punto doveva cadere, proprio come avvenuto nelle prime ore di apertura del mercati, invece poi si è stabilizzato, ed, infine, è risalito, stabilizzandosi intorno al 45 dollari. Ed è risalito per una carenza temporanea di offerta, dovuta a scioperi, incendi e via dicendo.

I Sauditi però non hanno rinunciato a offrire la stessa quantità di petrolio, anzi (4), ultimamente hanno dichiarato che la loro maggiore compagnia – la Aramco – incrementerà la produzione per guadagnare quote di mercato in vista della sua quotazione – per inciso Aramco sarebbe la maggiore impresa quotata al mondo, diverse volte maggiore di Apple. I Sauditi sono in grado di reggere un basso prezzo del petrolio avendo cumulato delle grandi ricchezze che possono usare per finanziare la spesa pubblica. Gli altri grandi produttori – la Russia, l'Iran, la Nigeria, il Venezuela - non hanno questa opzione, perché non sono così ricchi in partenza. Perciò il prezzo del petrolio difficilmente potrà risalire, vista la persistenza della sovra offerta.

2- http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/send/2-le-voci-del-centro/890-petrolio-putin-e-la-corsa-contro-il-tempo.html

3 - http://www.centroeinaudi.it/le-voci-del-centro/send/2-le-voci-del-centro/900-la-corsa-folle-al-ribasso-del-greggio-per-vedere-chi-cede-per-primo.html

4 - https://next.ft.com/content/55265e34-168a-11e6-b197-a4af20d5575e

 

Programmi simili valori diversi

Si rimane colpiti dal continuo accusarsi in campo politico. “Ladri”, “Onesti”, “Servi”, eccetera. Lo si vede nei talk show televisivi, e nei post di Facebook, naturalmente solo se si è in contatto con chi la pensa diversamente. Sembra che non ci sia altro da dirsi. Esiste una ragione logica per questa deriva verso l'insulto? Sì, ed è curiosa (5).

Immaginate di tornare indietro nel tempo. Una volta la lotta politica era “esistenziale”: chi centrava il discorso sulla “libertà” (i liberali) e chi sull'”uguaglianza” (i socialisti). I programmi politici era radicalmente diversi, si aveva, per esempio, chi voleva la proprietà privata e chi la voleva eliminare. E via andando. C'è chi ha studiato i programmi elettorali. Da qui ha costruito un indice che misura le differenze programmatiche fra partiti - l'indice di “polarizzazione”. Nel dopoguerra l'indice era ai massimi, poi dagli anni Ottanta si è di molto ridotto. Oggi è la metà di quanto fosse negli anni Cinquanta.

Ebbene, se le differenze fra i programmi dei partiti sono diventate modeste, su che cosa ci si scontra per raccogliere voti? Se due partiti sono a favore dell'Euro, non si può avere che uno accusi l'altro di volerlo, perché in questo caso dovrebbe spiegare perché lo vuole anche lui. Banale, no? E quindi si finisce per cercare delle differenze sui “valori”. Si accusa l'altro partito di essere composto da ladri, di volere il matrimonio omosessuale, di voler accogliere milioni di migranti, di voler rinunciare alla sovranità, e via andando. Oppure, al contrario, di essere bigotti, xenofobi, provinciali, e via andando. La temperatura dello scontro si alza, e le posizioni sembrano inconciliabili. Tutto sembra spaccarsi, ma la frattura, a ben guardare, è figlia delle similarità programmatiche che spingono a marcare le differenze valoriali.

Qual è l'interesse di un investitore verso questo ragionamento? Se due partiti sono a favore dell'Euro, e se per continuare ad averlo hanno un programma economico molto simile che lo renda possibile, allora le accuse reciproche – ladri, servi, e via andando – non vanno prese sul serio, perché sono funzionali a raccogliere voti sui valori. Vanno, seguendo il ragionamento, prese sul serio solo le differenze programmatiche.

5 - http://www.lavoce.info/archives/40753/il-mondo-nuovo-della-politica-punta-sui-valori/