Per come stanno andando le cose nel mondo, conviene rifare il punto sul Populismo. Trovate qui l'analisi politica, mentre quella economica seguirà a breve. Il testo è diviso in sette parti: 1) Golpisti e i Patrioti; 2) I nemici del popolo; 3) Napoleone III e i populisti di oggi; 4) Semplificazione e mobilità sociale; 5) La ribellione delle masse (virtuali); 6) Politologia e Populismo; 7) Bramini e Mercanti. Una parte di quanto trovate qui è già stato pubblicato a partire dal 2013 sia come Lettera Economica, sia come Agenda Liberale.

1 - I Golpisti e i Patrioti

Da tempo esiste una letteratura che denuncia i colpi di stato – da intendere come la presa del potere da parte di un qualche potentato senza passare da libere elezioni. Andiamo con ordine discutendo di colpi di stato. Sia il fascismo sia il nazismo erano passati attraverso le elezioni – il primo formò il primo governo nel 1922 con il voto dei liberali e dei cattolici, il secondo ottenne la maggioranza nel 1933 già alle elezioni. I golpisti in Europa non sono stati i totalitaristi di destra dei Paesi relativamente ricchi, ma piuttosto i reazionari dei Paesi poveri e i comunisti. In Spagna e in Grecia abbiamo avuto generali e colonnelli, in Russia i bolscevichi presero il potere nel 1917 senza passare dalle elezioni. Oggi, anche secondo la letteratura che denuncia i colpi di stato, non si ha in Europa alcuna forza politica o militare eversiva. Chi sarebbe allora il golpista? La finanza, che trama per la riuscita dei suoi colpi di stato non sanguinari grazie ai quali imporrebbe i propri interessi, naturalmente con l'aiuto delle forze politiche compiacenti. Ma ecco che contro i Nemici del Popolo turgidi si ergono i Patrioti, i quali, mossi da ideali e da null'altro, riportano i potere dov'è legittimo che stia. Di seguito un tentativo di raccontare questa trama.

2 - I Nemici del Popolo

Ad un certo punto – da una decina di anni, dalla crisi finanziaria, secondo altri dai primi anni Ottanta - nell'emisfero occidentale le cose si “mettono peggio”, e così parte a polemica contro il cosiddetto “neo-liberismo”. Si accusa il neo-liberismo di aver tagliato lo stato sociale, di aver reso precario il lavoro, di aver ridimensionato la Sovranità, e via elencando. Ossia, di aver distrutto il mondo in cui si viveva sicuri e benestanti (vedi §1.3). Anche in passato il “liberismo” - non ancora “neo” - era stato sotto accusa, nella forma del complotto “giudo-pluto-massonico”. Oggi si può sorridere, ma, attenzione, si ha anche la versione colta. Le potenze marittime (anglosassoni) vogliono imporsi su quelle telluriche (Europa continentale). Il mare sostituisce la terra, la nave la casa. Si ha lo sradicamento. Gli Ebrei, come portatori storici dello sradicamento, diventano il nemico “metafisico”. L'ultimo stadio dello sradicamento è l'Aria, che può essere immaginata come la figura della globalizzazione. Essa è ovunque e inibisce ogni identità (Carl Schmitt, Stato, Grande Spazio, Nomos).

Una volta, millenni fa, ma il costume si è mantenuto, si addebitavano tutti i mali ad un unico soggetto – un uomo o un animale, che diventava il “capro espiatorio”. Costui era capace di accogliere su di sé tutti i mali della comunità, sicché, cacciandolo, quest'ultima se ne liberava. L’Euro e le sue regole sono, per esempio, diventate per molti il novello capro espiatorio. Gli anglosassoni negli anni Trenta erano “guido-pluto-massoni”, mentre oggi nell'etichetta di “neo-liberisti” ci sono sempre gli anglosassoni, ma anche la burocratica Bruxelles e l'Ordoliberalismus teutonico. Tecnicamente parlando le due ultime entità non sono anglosassoni, ma carolingie e sassoni. Si ha chi sostiene che la nobiltà carolingia è sopravvissuta come Euro-crazia (Karl F. Werner, Nascita della nobiltà).

3 - Napoleone III e i populisti di oggi

L'impatto della Modernità – intesa come dinamismo dei valori culturali e dell'economia – aveva generato già nel XIX° ma soprattutto nel XX° secolo una forte reazione contraria, che è identificata come “corporativismo”. Questa reazione comincia a manifestarsi anche nel XXI° secolo. Che cosa volevano i “corporativisti” nei due secoli precedenti il nostro, ma soprattutto fra le Due Guerre? Uno stato che sappia guidare gli investimenti, la pace e la solidarietà nelle relazioni industriali, e, non ultimo, un grado elevato di responsabilità sociale. Dei tre obiettivi, i corporativisti di oggi – i “neo-corporativisti” - vogliono il primo e il terzo, essendo venuto meno il secondo: il conflitto sociale di fabbrica. All'epoca il corporativismo era la “terza via” fra il Capitalismo e il Socialismo, perciò non era - per riprendere un'espressione tornata in voga - “né di destra né di sinistra”. Per quelli di sinistra era l'uscita dal capitalismo, da intendere come l'uscita dall'insicurezza, per quelli di destra era l'uscita dal socialismo, da intendere come la presenza dell'iniziativa individuale (Edmund Phelps, Mass Flourishing).

Oltre che in Italia, che ne ha la primogenitura, il corporativismo si era poi diffuso in Germania, in Spagna, in Portogallo, in Austria, e in Francia, ma dopo con Vichy. Fuori dall'Europa Continentale, lo si è avuto in Brasile e in Argentina, e si è manifestato anche in Asia. In Giappone, dai tempi delle riforme Meiji, e quindi ben prima che in Europa con gli Zaibatsu, ed in Corea, quando, con la sconfitta giapponese nella Seconda guerra, gli impianti degli Zaibatsu lì presenti sono ceduti ad alcune famiglie, dando così vita ai Chaebol. Gli anglofoni, forse perché la Modernità l'hanno vissuta con un secolo di anticipo, possono esserne stati tentati, ma mai fagocitati.

La politica della protezione ha avuto in passato e sembra riavere oggi una dimensione etnica. I partiti tedeschi ed austriaci – popolari ma anche socialdemocratici – volevano negli anni Trenta proteggere il popolo dalla concorrenza che veniva dal basso, quella degli slavi. Volevano, allo stesso tempo, difendere il popolo anche dagli ebrei che però venivano dall'alto, dall'imprenditoria, dalla finanza, e dal giornalismo. Nel primo caso era una difesa del tenore di vita del popolo, nel secondo dalla Modernità che era in conflitto con i costumi secolari. Gli slavi di ieri sono gli africani di oggi, mentre gli ebrei di ieri sono le élite cosmopolite e autoreferenziali che vivono nelle metropoli come New York, Londra, Parigi. Oggigiorno la maggioranza di chi vive in provincia ha votato per Brexit, per Donald Trump, e per Marine Le Pen. Nel mondo della globalizzazione abbiamo sia costruttori di ponti - come il Papa, che non può fare diversamente, perché ha ereditato il titolo imperiale di “pontifex maximus” - sia i costruttori di muri - come sembrano voler fare Trump con il Messico e Matteo Salvini con gli sbarchi in massa. I “pontieri” sono a favore della globalizzazione e vivono nelle grandi città, i “muratori” vogliono difendersi dalla globalizzazione e vivono di solito fuori dalle grandi città. In Turchia il referendum che avrebbe dato più poteri a Erdogan non è passato a Istanbul e a Smirne, ma nel paese profondo. In Russia i liberali i voti li prendono a Mosca e a San Pietroburgo.

Ciò ci porta indietro nel tempo – fin nel XVII secolo. All’epoca, le Corti erano sempre più soddisfatte ed estraevano i tributi dalle campagne popolate (secondo il giudizio delle Corti) dai bigotti e dai bifolchi. Inoltre, i membri delle diverse Corti europee si conoscevano meglio fra loro di quanto non conoscessero i loro rozzi compaesani. In Gran Bretagna i Cavalieri controllavano le città ed erano convinti (a ragione?) della propria superiore civiltà, mentre le Teste Rotonde controllavano la campagna e giudicavano (a ragione?) i Cavalieri dei parassiti. Alla fine arrivò la guerra civile. Per tornare a tempi più recenti, Napoleone III, accusato di esercitare un potere antidemocratico, sosteneva che lui era stato eletto dal popolo, mentre chi lo attaccava - la finanza e il giornalismo - aveva sì un gran potere, ma non era mai stata eletto. Una tesi che torna nelle polemiche populiste dell'oggi.

4 - Semplificazione e mobilità sociale

Secondo Alexis de Tocqueville in una società in cui “l'eguaglianza è una passione generale e dominante” tutte le opinioni finiscono per essere considerate valide, tutti i punti di vista finiscono per essere degni di essere difesi. Si ha così la “tirannia delle opinioni”, laddove, alla fine, dominano quelle condivise dalla maggioranza. Nel linguaggio d'oggi si ha il “pensiero unico”. Un pensiero condiviso in pubblico anche da chi pensa diversamente in privato, perché, in questo modo, il dissenziente lucra un “quieto vivere”. Grazie a questo meccanismo - il conformismo che appiana le differenze di talento perché non le richiede - possono ascendere verso le posizioni apicali anche quelli che, con Blaise Pascal, potremmo definire come demi-habiles.

Secondo Tocqueville - prima citato in De la Démocratie en Amérique, ora ne L'Ancien Régime et la Révolution - la chiave del successo di Jean-Jacques Rousseau è stata la capacità di aver racchiuso l'oggetto della battaglia politica nella contrapposizione fra Ragione e Tradizione. Laddove Tradizione era Ingiustizia e Diseguaglianza – si pensi (se è vero) a Maria Antonietta con le sue brioche - mentre Ragione era Giustizia e Eguaglianza. Oggi la Tradizione è diventata Liberismo e quindi Ingiustizia, mentre Ragione è il Popolo che porta Giustizia (vedi §1.6).

5 - La ribellione delle masse virtuali

Una volta l'“uomo della strada” riconosceva la competenza di chi ne sapeva di più – che lo facesse per convinzione o per timore dei Signori e/o di Dio non lo sappiamo. Oggi, invece, l'“uomo social” dice la sua su ogni argomento senza alcun timore reverenziale. L'uomo social non solo dice la sua su tutto, ma si rinchiude in una fortezza con i suoi simili, aiutato in questo dagli algoritmi, che sono progettati proprio per mettere insieme chi esprime una sensibilità e degli interessi omogenei. Da qui l'uomo social che si aggrega con chi ha interessi politici simili, oppure con chi condivide l'amore per i gatti, e via elencando.

José Ortega y Gasset negli anni Trenta denunciava il dilagare dell'individuo-massa. Sosteneva che massa è tutto ciò che non valuta se stesso, che si sente “come tutto il mondo”. Tuttavia non se ne angustia, anzi si sente a proprio agio nel riconoscersi identico agli altri. Ortega notava infine come l'uomo-massa, che si sente eguale agli altri, non accetta nulla al di sopra di sé stesso: “La ribellione delle masse”, appunto, i titolo del suo libro più famoso. L'individuo massa di ieri come l'individuo social di oggi non cerca – come (si crede facesse) un aristocratico dell'antica Grecia - di perfezionarsi. Quello di oggi vive nell'immediatezza della rete, e il suo è un effluvio di emozioni e sentimenti.

6 - Politologia e Populismo

Il Populismo è una corrente politica contraria al potere costituito, favorevole all'autoritarismo, e, non ultimo, al “nativismo”. Il Populismo ha fede nella saggezza (perché sa che cosa si deve fare), e nella virtù (è “ontologicamente” onesta) della gente “ordinaria” (ordinary people, silent majority) in contrapposizione alle classi dirigenti che sono “corrotte” (ed anche incapaci, e da qui la polemica sugli specialisti che nulla sanno, o sull'inutilità del sapere scientifico).

Si noti che la gente ordinaria è considerata dai Populisti una massa omogenea capace di esprimere un solo punto di vista, talmente ovvio (ossia facile da conoscere senza alcuna ricerca e prova dei risultati) da essere tosto condiviso. Il punto di vista della massa (“massa”, dal greco massein - fare la pasta, ossia un verbo che indica un qualcosa di informe ed elastico che viene lavorato) si esprime attraverso il leader. Il quale ultimo è una sorta di vortice pneumatico che aspira l'informe volontà del popolo dando direzione agli eventi.

Siamo così agli antipodi della democrazia liberale, fatta di controlli, di contro poteri, insomma di “grigiori”, il cui scopo è quello di inibire l'arrivo dei duci. Il Populismo dunque è l'opposto del liberalismo: a) è il leader che guida il suo popolo contro i governi parlamentari sottoposti a molteplici controlli; b) è una cultura che privilegia il lato nativo su quello cosmopolita. Insomma, è l'opposto di tutto quello che in Europa si è raggiunto nel Secondo dopoguerra. Il Populismo non è un correttivo della democrazia liberale, nel senso che, a differenza di quest'ultima, avvicina la politica al popolo, così asserendo la sovranità popolare. L'avvicinare la politica al popolo senza contrappesi non avvicina alla democrazia liberale (la democrazia “popolare” dei Paesi dell'Europa dell'Est era un altro animale politico), ma al ducismo.

7 – Bramini e Mercanti

Le denunce dei populisti hanno un qualche fondamento? L'accusa che la Sinistra non rappresenti il popolo come una volta ha un fondamento. Per “popolo” nel linguaggio populista si intende la cittadinanza a minor reddito e minor istruzione. La Sinistra è molto meno presente di una volta in queste fasce. L'accusa che la Sinistra sia il partito dei ricchi ha ancora fondamento, ma più debole. Per “ricchi” nel linguaggio populista si intende la cittadinanza a maggior reddito e/o maggior patrimonio. La Sinistra è presente fra la cittadinanza con il maggiore reddito e/o patrimonio più di una volta, ma ancora meno della Destra. I numeri che quantificano quanto detto sono purtroppo solo quelli francesi – quelli inglesi e statunitensi sono simili, mentre mancano quelli italiani. Trovate anche in forma l'analisi del voto francese. Per il grafico e la tabella: http://piketty.pse.ens.fr/files/Piketty2018.pdf.

 

radicalchic educatibenpagatiricchi
radicalchic educatibenpagatiricchi

 

Voti alla Sinistra (Socialisti, Radicali, Comunisti, eccetera) dei laureati in rapporto ai non laureati – linea rossa. Da qui l'etichetta di “bramini”. Voti alla Sinistra dei percettori del 10% dei redditi maggiori in rapporto ai percettori del 90% dei redditi residui – linea blu. Lo stesso calcolo è fatto sulla base della ricchezza – linea verde. Da qui l'etichetta di “mercanti”.

 

radicachic chivotachi
radicachic chivotachi

I quattro ideal-tipi sono: internazionalisti egualitari e non, nativisti egualitari e non. Si vede che la Destra di Marine Le Pen nel campo della definizione di “internazionalista” pesa molto meno della media, mentre in campo “nativista” pesa molto di più. Da notare il maggior peso del “nativismo egualitario” della Destra estrema. E' definita “estrema” perché quella di Fillon è definibile come “moderata”.