Ogni qual volta emerge la volontà politica di rilanciare l'economia con la spesa pubblica – e quindi con il debito che è alimentato dai deficit - si ha chi sostiene che si debbano prendere in considerazione tutti i debiti – i.e. quello pubblico insieme quello privato. Quello pubblico italiano è maggiore di quello medio dell'Unione Europea, mentre quello privato è inferiore. Facendo la media dei due debiti emerge che il Bel Paese non è così indebitato, e quindi sull'orlo del fallimento, come molti paventano. Altrimenti detto, se anche il debito pubblico crescesse, esso sarebbe compatibile con la tenuta del sistema, e quindi, alla fine, si sostiene che si può rilanciare l'economia con la spesa pubblica in deficit. Manifestiamo il nostro dissenso da questo punto di vista nella nota che segue.

1- Del sommare le virtù private con i vizi pubblici

La tesi della “sommabilità” possiamo sintetizzarla così: non esiste solo il debito pubblico, ma anche quello privato, ed entrambi concorrono a determinare la solidità finanziaria di un “sistema paese”. Negli Stati Uniti ad essere indebitate erano le famiglie, e quell’eccesso di indebitamento è stato – via mutui ipotecari - all’origine della crisi. In Europa, ad essere indebitati erano i governi; e, infatti, i titoli legati al debito sovrano sono entrati sotto scacco nei primi anni della crisi. Non è andata proprio così, la crisi degli ultimi dieci anni è stata molto contorta, ma va bene, in quanto vulgata, come premessa alla nota.

Alcuni Paesi compensano l’elevato indebitamento pubblico con un basso indebitamento privato. Quindi, se “le virtù private fanno somma con i vizi pubblici”, ecco che l’Italia si trova in una condizione sostenibile. Ma è così? Da un punto di vista macro-economico il grado di indebitamento complessivo ha rilevanza. L’identità contabile è: (S-I) + (T-G) = (X-Z), laddove S=Risparmio privato, I=Investimenti, T=Tassazione, G=Spesa pubblica, X=Esportazioni, Z=Importazioni. Ossia, se un paese esporta di più di quanto importi (X>Z) significa che, nel suo complesso, sta risparmiando – ossia, non consuma tutto quel che produce. Viceversa, se le importazioni superano le esportazioni (X<Z), sta vivendo al di sopra delle proprie possibilità, ossia consuma più di quanto produca, e si sta indebitando. Nel lungo periodo, un paese non può avere sempre risparmi negativi - a meno che qualche stato estero sia disponibile a prestare all’infinito consumando per sempre al di sotto delle proprie possibilità, come molti pensano che possa essere il caso della Cina e dei cinesi della “diaspora”, ossia Hong Kong e Taiwan. Ciò detto, è comunque evidente dalla formula che, a fronte di un settore pubblico “spendaccione” (T<G) aiuta, per mantenere una stabilità complessiva, avere un settore privato “risparmioso” (S>I).

Ma le cose stanno proprio così, ossia che basti un settore privato “risparmioso”? Non proprio. Se emergono dubbi sulla solvibilità di un governo, gli investitori chiederanno degli interessi sul debito più elevati. L'avere un elevato risparmio privato può essere un fattore rilevante nella valutazione della solidità finanziaria di un governo solo a certe condizioni, ma con molti caveat:

  • A fronte di un elevato risparmio interno potrebbe essere più semplice chiedere ai cittadini - ed alle istituzioni finanziarie domestiche - uno sforzo aggiuntivo nella sottoscrizione del debito pubblico nazionale. Ma è difficile pensare che, con dei mercati dei capitali competitivi, i risparmiatori siano disposti a prestare al proprio governo a dei tassi inferiori a quelli di mercato per ragioni definiamole “patriottiche”.
  • E' vero che a fronte di un elevato risparmio interno può essere più facile per un governo fare ricorso a prelievi forzosi per coprire i fabbisogni finanziari crescenti. Se si dovesse ricorrere a un aumento della tassazione per ripagare un debito non più sotto controllo, si potrebbe dare un colpo mortale a qualsiasi velleità di ripresa.
  • A fronte di elevato risparmio interno è meno costoso, da un punto di vista politico, affrontare eventuali situazioni di ripudio del debito (default), o ristrutturazione del debito, o di svalutazione tramite inflazione, se questo è detenuto dai propri cittadini. Un debito detenuto prevalentemente da investitori interni è meno rischioso dal punto di vista dei mercati internazionali, perché in caso di default le ripercussioni verrebbero circoscritte all’interno del paese stesso. Ma un eventuale default o ristrutturazione avrebbe degli effetti in termini di credibilità futura del creditore nei confronti degli investitori internazionali.

2- Del dibattito secolare intorno al debito

In olandese e tedesco Schuld (=debito) richiama sia il debito sia la colpa, così come accade con l'ebraico Chayav. Questo per dire della profondità di richiami della parola “debito”. L'argomentazione sul debito è generalmente favorevole quando si parla di quello privato, perché grazie a questo, se erogato agli imprenditori, si accelera lo sviluppo d'impresa, mentre il debito privato, se erogato alle famiglie, ha una lettura ambigua, positiva quando grazie a questo si può anticipare un miglior tenore di vita, negativa quando si afferma che è pericoloso “vivere sopra i propri mezzi”. Un esempio classico è quello dei mutui. Invece di vivere risparmiando molto in una abitazione modesta sognando di comprare un giorno una casa migliore, ecco che - grazie al mutuo ipotecario - si evita il risparmio preventivo portato avanti negli anni e la casa migliore la si può avere subito. Se però l'eccesso di offerta di mutui spinge così in alto i prezzi delle abitazioni che questi non possono che cadere in un periodo successivo, ecco che si ha una crisi, che può essere anche grave come quella dei famigerati mutui sub-prime di dieci anni fa.

A noi però interessa il debito pubblico. Partiamo da lontano. Il debito era della Corona e il re di frequente lo ripudiava. Se non lui, accadeva che il successore al trono non lo riconoscesse. Da qui i tassi di interesse abnormi richiesti dai banchieri dei tempi. Si pensò allora che, se il debito fosse stato controllato da chi lo comprava – i ricchi dell'epoca, ecco che sarebbe diventato più sicuro. Diventando più sicuro il tasso richiesto sarebbe sceso. A quel punto i ricchi erano contenti, perché evitavano il ripudio, mentre il re poteva indebitarsi a un costo inferiore. Ciò che accadde in Gran Bretagna prima che da altre parti. Il risultato fu che le guerre della “perfida Albione” costavano molto meno di quelle degli altri. In Francia si era scettici proprio per colpa (Schuld) dell'esperienza reale del ripudio del debito (Schuld). Montesquieu sosteneva che il debito pubblico “estraeva il reddito da quelli che lavoravano per darlo agli indolenti”. Gli scozzesi Hume e Smith temevano – nonostante o proprio perché favoriva le ambizioni della Corona - che il debito pubblico avrebbe corrotto gli stati, spingendolo a guerre vane. Inoltre, temevano che avrebbe alimentato le clientele (=political patronage). Delle idee non diverse si manifestavano anche negli Stati Uniti con Jefferson.

Quelli che sono visti oggigiorno come i nemici del debito pubblico – i tedeschi, sono, invece, quelli che in epoca pre-keynesiana, quindi anteriormente nalla Prima guerra, difendevano il ruolo dinamico della spesa e del debito pubblico. La Germania era “il” Paese emergente e per industrializzarsi in fretta seguì la strada del “dirigismo”, con l'intervento pubblico diretto e con quello delle banche “miste” in sede di investimenti. L'Italia allora fece lo stesso. Addirittura un economista dell'epoca - Karl Dietzel – sosteneva che “A nation is so much the richer and its national economy so much more blossoming and progressing, the greater the ratio of interest payments on government bonds in total government outlays is”. Addirittura un altro economista dell'epoca - Lorenz von Stein – sottolineava “the role of public debt as collective insurance, above all in helping provide for old age, and thus in promoting social and political integration”. Naturalmente restavano tedeschi quindi aborrivano lo spreco. Il dubbio era che la spesa pubblica si sarebbe rivolta verso il finanziamento dei consumi e non degli investimenti. Insomma, si voleva uno Stato Dirigista e Sociale, ma, nel contempo, austero. Il succitato von Stein chiese allora una salvaguarda costituzionale contro l'uso improprio della spesa. Salvaguardia che è oggigiorno ripresa nella Legge Costituzionale della Repubblica Federale di Germania.

Per approfondire

in generale: https://www.foreignaffairs.com/articles/2015-05-03/morality-debt,

sulla Germania: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2255977