Nella prima parte avevamo visto che, mettendo insieme i numeri, si scopre che tanto maggiore è la vicinanza fra il reddito della famiglia d’origine e quello dei figli, tanto maggiore è la diseguaglianza. Altrimenti detto, quando si hanno meno opportunità ai nastri di partenza, si ha ai nastri di arrivo più diseguaglianza. Nella prima parte avevamo visto che le cose stanno “staticamente” come sono state appena ricordate, ma abbiamo anche visto che il “movimento lungo” è stato quello di enorme un miglioramento del tenore di vita - approssimato dalla speranza di vita alla nascita - di tutti, ciò che è avvenuto con una diseguaglianza che si è mantenuta più o meno significativa.

 Una prima conclusione? Non siamo in un mondo di “equal tremendous opportunities”, perché se così fosse: non avremmo una correlazione elevata fra il reddito dei genitori e quello dei figli, e non avremmo una correlazione fra questa prima relazione e una misura della ineguaglianza. Siamo, insomma, in un mondo di “opportunities”, ma non “equal”,

Questo è quanto abbiamo argomentato nella prima parte. Possiamo andare più a fondo. L’argomento non è astratto, ma molto concreto. Nella lotta politica si parla continuamente di combattere la diseguaglianza, e questo avviene non solo in Italia. Lo si vede, infatti, se si segue la campagna elettorale per la Presidenza dei Democratici, o se si torna al Partito Conservatore di Teresa May, quando prometteva di abbracciare un “liberalismo compassionevole”.

Non si capisce mai bene che cosa si intenda ottenere quando si afferma che ci vuole “meno diseguaglianza”. Se si intende che “i ricchi sono troppo ricchi”, allora si dovrebbe immaginare un livello “giusto” della ricchezza. Solitamente questo livello è immaginato simile alla distribuzione del reddito che si è avuta fra la fine della Seconda Guerra e i primi anni Ottanta in Europa e negli Stati Uniti, quello che nell’immaginario collettivo è il mondo keynesiano di allora contrapposto al mondo neo liberista di oggi. Oppure se si intende, ma è ormai un caso raro, legato a delle minoranze politiche, che in un mondo equo “i ricchi non dovrebbero esserci”.

Da che cosa dipende oggigiorno il notevole maggior reddito di alcuni rispetto a quello di altri? Fino alla Prima guerra la diseguaglianza era maggiore di quella di oggi. Essa traeva origine dalla proprietà più che dal lavoro, mentre oggi vale il contrario. Ossia, oggi si ha chi guadagna molto lavorando, mentre chi vive ancora di rendita accade che abbia relativamente meno soldi.

Dalla fine della Prima Guerra, ma soprattutto dopo la Seconda, la diseguaglianza nel campo del reddito si è compressa. Poi, dagli inizi degli anni Ottanta, la diseguaglianza ha ripreso a salire, ma non è, almeno in Europa, arrivata a quella di un secolo fa. Negli Stati Uniti le differenze si avvicinano a quelle che si avevano dopo la fine della Prima Guerra. Almeno secondo alcune stime, quelle rese famose da Thomas Piketty, ma non secondo altre, tanto che il dibattito è in corso:

https://www.economist.com/briefing/2019/11/28/economists-are-rethinking-the-numbers-on-inequality

Le differenze di reddito, infine, sono oggi nei Paesi ex comunisti, come la Russia e la Cina, simili a quelli dell’Europa di un secolo fa.

I segnali che la diseguaglianza stava crescendo si avevano da prima che iniziasse la denuncia sui mali del neo liberismo. E la diseguaglianza cresceva per ragioni di “struttura” e non per una qualche decisione di un gruppo di “Savi di qualche cosa”. I protagonisti della crescita della diseguaglianza sono stati l’“education premium” e il “mariage education premium”. Per chiarire, il maggior livello di istruzione richiesto, figlio dell’economia della “conoscenza”, la quale ha sostituito quella “fordista”, e le donne che hanno ormai lo stesso livello di istruzione degli uomini e che non vogliono più, come ai bei tempi, “fare la calza”.

Sulle diseguaglianze in generale: Branko Milanovic - Capitalism Alone. Sull’economia della conoscenza e sul suo impatto politico: Torben Iversen, David Soskicei, Democracy and Prosperity.

La diseguaglianza che si manifesta oggi è quindi qualcosa che ha a che fare, direbbero i francesi, con la “longue durée”. Osserviamo allora la dinamica nel lungo termine. Agli inizi del XX° secolo negli Stati Uniti i cavalli e i muli erano venticinque milioni, cinquant'anni dopo si sono ridotti a cinque. Chi mai avrà svolto il loro umile lavoro? I trattori. Agli inizi del XX° secolo, sempre negli Stati Uniti, le lavandaie che svolgevano il proprio lavoro fra le mura domestiche altrui erano cinque milioni, mentre oggi non ve ne sono. Chi mai avrà svolto il loro umile lavoro? Le lavatrici. L'energia animale e umana è stata in molti Paesi quasi del tutto sostituita. E' innegabile che esista quel qual cosa che chiamiamo progresso, che può essere definito come liberazione dalla fatica fisica.

Il progresso tecnologico non ha creato fino ad oggi una disoccupazione di massa, tanto che i lavoratori e le lavoratrici sono oggi molto più numerosi che in passato, mentre non svolgono le stesse mansioni. Cento e passa anni fa i contadini e i colletti blu erano l'ottanta per cento della popolazione lavoratrice degli Stati Uniti, oggi l'ottanta per cento è composto dai colletti bianchi e dai dirigenti, dei proprietari, e dai professionisti.

Sull’impatto della tecnologia: Carl Frey - The Tecnological Trap

Se il futuro si presentasse come il passato, fra qualche tempo, superata con i nuovi lavori la disoccupazione legata a quelli vecchi ormai senza scopo, staremmo tutti meglio.

Sembra semplice, quasi un “”happy ending”, ma:

— possiamo sospettare che, rispetto al passato, l’occupazione richiederà una maggiore competenza, ciò che metterebbe in seria difficoltà un gran numero di persone, come mostra il grafico:

 

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— allo stesso tempo non sappiamo come reagirà chi ha perso o teme di perdere il lavoro, specie se ne svolge uno poco qualificato, e soprattutto se il progresso richiederà delle competenze crescenti, che al momento lui non ha e che difficilmente potrà avere. Il disoccupato si rivolgerà al potere politico per essere protetto, oppure “lascerà fare” all'economia?

Per approfondire l’idea che possa dilagare la protezione:

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/5069-da-tiberio-e-vespasiano-a-trump.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/commenti/4970-complicazioni-intorno-al-reddito-di-cittadinanza.html

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Una parte di questo ragionamento è stata pubblicata da Linkiesta:

https://www.linkiesta.it/it/article/2020/01/20/diseguaglianze-economia-disoccupazione/45107/

Ecco una estensione del ragionamento sul “mariage education premium”.:

La fuoriuscita delle donne da una condizione di subalternità è una causa non secondaria della diseguaglianza in aumento. Si supponga, infatti, che i redditi maggiori siano di 30 mila euro e quelli minori di 10 mila. E si assuma che il reddito abbia un legame con l'istruzione. Se un uomo e una donna molto istruiti si sposano, il reddito della loro famiglia sarà di 60 mila euro. Se un uomo istruito sposa una donna non istruita, o viceversa, ma è difficile che questo accada come vedremo poi, il loro reddito sarà di 40 mila euro. Se due persone poco istruite si sposano, il loro reddito sarà di 20 euro. Se i figli di quelli che guadagnano di più hanno accesso alle scuole migliori dove incontrano l'anima gemella con cui fanno dei figli che, studiando meglio, alla fine guadagneranno di più, ecco che avremo una concentrazione dei redditi crescente.

Sono stati condotti degli studi in cui si vede che il reddito da qualche tempo si divarica, perché le persone di condizione sociale simile tendono a sposarsi più frequentemente di quanto accadesse una volta. Il termine tecnico è “assortative mating”. Come controprova di quanto detto, prendendo una distribuzione del reddito casuale, ossia senza che si abbia in partenza una simpatia maggiore fra persone di condizione sociale simile, si ha una distribuzione del reddito che si concentra molto meno. Insomma, se si ha una maggiore divaricazione del reddito, la “colpa” è delle donne, che, invece di studiare, ossia di accrescere il proprio capitale umano, dovrebbero «fare la calza», ossia tenerlo basso.

Accrescendo il proprio capitale umano le donne fanno meno figli. Un fenomeno che si osserva sia guardando a ritroso quanto accadeva sino ai tempi delle nonne nei Paesi occidentali, sia osservando le donne immigrate, che nel luogo d'origine generano molti figli, ma giunte qui, dopo appena un paio di generazioni, liete si accodano alle usanze locali.

Per chi volesse approfondire la relazione fra demografia e donne: Paul Morland, The Human Tide, Public Affairs, 2019