I limiti del modello utilizzato dalla BCE per stressare i bilanci bancari erano e sono noti. Nessuna sorpresa, dunque. Semmai si poteva sperare in qualche timido segnale verso una maggiore sensibilità a modelli meno limitati e discrezionali. Qualche considerazione si potrebbe, viceversa, fare sulla difficoltà da parte delle istituzioni pubbliche domestiche nell’affrontare risultati che erano sostanzialmente prevedibili.

I € 9,5 miliardi mancanti alle banche europee, in caso di disastro economico simulato per il prossimo biennio, sono generati principalmente dall’ipotesi della formazione di una massa imponente di sofferenze bancarie (€ 378 mld) in parte compensati da maggiori ricavi. Alla fine spariscono circa € 260 miliardi che si scaricano sui patrimoni delle centotrenta banche di cui tredici si dimostrano non capienti.

La cosa singolare è che le uniche veramente fuori dal coro sono le quattro banche italiane. Infatti sia le banche greche che le banche slovene sono esonerate dal ricapitalizzare essendo sottoposte a valutazioni dinamiche ovvero possono tenere conto degli utili stimati nel prossimo triennio come indicato nei rispettivi piani di ristrutturazione. Ancora meglio Dexia la quale, usufruendo della garanzia statale, non necessita di aumenti di capitale. Sulle banche italiane, che non sono soggette a ristrutturazione oltre ad essere prive di copertura pubblica, si scarica il peggiore effetto della simulazione.

La difficoltà delle banche italiane risiede nell’essere a metà strada tra il modello del RWA (Risk Weighted Asset, Attivi Ponderati per il Rischio) e il modello della Leva (Patrimonio Netto/Totale Attivo). Il modello RWA è quello che permette alle banche dell’Europa “a tripla A” di apparire leggere e inattaccabili. Il modello della Leva è stato adottato dalle banche americane dopo aver sperimentato gli effetti nefasti del modello RWA con il fallimento di Lehman, Bear Sterns, Wachovia, eccetera.

In mezzo alle due filosofie ci sono, oltre alle banche mediterranee, anche gran parte delle banche asiatiche o con forti interessi in estremo oriente. Come noto stare a metà non è una soluzione, soprattutto se è una situazione che si è creata non per intenzione ma per casualità. I termini della questione non riguardano la bontà o meno del modello RWA ma la direzione che si intende prendere. Soprattutto per un sistema bancario che ha evitato di sottoporsi a piani di ristrutturazione ed ha affrontato crisi economica e ricapitalizzazioni senza significativo sostegno della componente pubblica.

A maggiore ragione se si considera la mole di denaro che gli altri paesi europei hanno immesso nei loro sistemi bancari. Per potere proseguire verso la giusta direzione, ovvero il modello della Leva, è necessario continuare nel processo di ricapitalizzazione dopo avere beneficiato per numerosi anni di copiosi dividendi e per tornare in tempi brevi a poterne beneficiare.

Nota al grafico. Sull’asse verticale (ordinata) è rappresentato il peso degli attivi rischiosi (RWA) sul totale attivo. Sull’asse orizzontale (ascissa) è rappresentato il peso del patrimonio netto sul totale attivo. Le banche americane sono le più solide sia per il modello leva che per il modello RWA (posizione in alto a destra). Le banche dell’Europa “a tripla A” sono solide solo con il modello RWA mentre sono le più fragili per il modello Leva (posizione in basso a sinistra).

 

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