I mercati finanziari riflettono oggi sia l'incertezza propria sia quella dell'economia reale. In un mondo complicato i mercati “cercano le informazioni”, ma non sempre le forniscono giuste e per tempo. Da qui l'incertezza.

 

 

 

Intanto, il rallentamento cinese ha innescato la caduta dei prezzi delle materie prime, e, attraverso questo canale, ha frenato la crescita dei paesi che le esportano. Poi, la pressione al ribasso delle materie prime sui prezzi, ossia la riduzione dell'inflazione corrente e attesa, alimenta le difficoltà dei debitori. Il debito è, infatti, meno oneroso, se i prezzi salgono. Infine, il rallentamento della crescita in generale spinge a post porre i piani di investimento, e quindi frena la spinta degli investimenti nella crescita del PIL. L'economia, alla fine, cresce meno con un'inflazione più bassa. In sostanza, quanto ha ricordato oggi Mario Draghi durante la conferenza stampa della Banca Centrale Europea.

Detto del rallentamento, resta la prima domanda: di quanto l'economia rallenta? Se rallenta poco, oppure molto. Cui segue la seconda domanda: il rallentamento durerà molto?

Insomma le previsioni non sono efficienti quando le cose mutano troppo, mentre le azioni sono care, perché scontano una crescita decorosa, di cui si dubita, e le obbligazioni sono care - ossia i prezzi sono alti in rapporto alle cedole, perché scontano una crescita modesta, di cui si dubita meno. Oppure anche: le azioni sono care, perché le obbligazioni rendono molto poco, e quindi sono care, non perché riflettano una qualche crescita decorosa, ma perché sono diventate il rifugio degli investimenti, in un mondo di rendimenti delle obbligazioni bassissimi. Non a caso, ogni volta che si annuncia una continuazione di politiche monetarie ultra espansive, quelle che schiacciano i rendimenti delle obbligazioni, le azioni salgono. In questo secondo caso, fosse mai quello giusto, sia le azioni sia le obbligazioni sconterebbero una crescita piuttosto modesta.