La recente posizione degli USA in tema di tariffe e dazi sta generando un notevole nervosismo non solo nell'ambito delle relazioni internazionali, ma anche nelle valutazioni delle diverse classi di attività finanziarie.

La tematica è non solo complessa ma tocca direttamente il percorso della globalizzazione. Sebbene la quota americana di import-export di alluminio ed acciaio sia modesta (grafico 1) appare molto più significativo l’impatto derivante dal segnale di una inversione di tendenza rispetto al processo di liberalizzazione dello scambio di merci e servizi iniziato a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale ed ulteriormente accelerato dopo la caduta del muro di Berlino.

Vediamo alcuni numeri sull’evoluzione più recente. Secondo i dati forniti da Datastream ed elaborati da Fathom Consulting (grafico 2) ad inizio degli anni ’90 gli scambi commerciali rappresentavano il 40% del Prodotto Interno Lordo (PIL) mondiale. A questo valore di interscambio corrispondevano tariffe medie ponderate sulle merci e servizi del 6%. Dopo venticinque anni il valore degli interscambi aveva raggiunto il 60% del PIL mondiale, fenomeno associato ad una discesa verticale delle tariffe medie fino al 2% del controvalore degli scambi. 

Sulla base di questi dati si potrebbe simulare il massimo livello potenziale di intercambio a partire dall’ipotesi di un ulteriore progressiva riduzione delle tariffe e dei dazi fino ad arrivare alla loro totale abolizione. Dal grafico si ricava che ad ogni punto di riduzione delle tariffe sarebbe corrisposta una crescita dell’interscambio del 5% (discesa tariffe 6%-2%= 4%; crescita interscambio 60%-40% = 20%; 20%/4%= 5%). Portando questo fenomeno statistico all’estremo di una situazione teorica di tariffe pari a zero potremmo concludere che l’interscambio massimo potenziale dovrebbe essere pari al 70% del PIL mondiale (crescita interscambio per ogni 1% di tariffa: 5% x azzeramento tariffe: 2%= interscambio aggiuntivo potenziale: 10% + interscambio attuale: 60%= interscambio massimo potenziale: 70%). Specularmente si dovrebbe concludere che il 30% è il livello minimo del PIL mondiale che non è interscambiabile ma è destinato a restare entro i confini di produzione geografici e valutari.

Questa simulazione serve a porre la questione su quale sia il livello massimo di espansione del fenomeno della globalizzazione, concetto più ampio ma di fatto in gran parte costituito dal processo di liberalizzazione degli scambi di merci e servizi. Non si può in alcun modo contestare che l’espansione degli scambi commerciali, ampiamente determinata dalla liberalizzazione tariffaria oltre che dall’innovazione tecnologica, abbia contribuito in misura significativa alla crescita dell’economia mondiale ed abbia contribuito ad un processo distensivo di lungo periodo nelle relazioni internazionali.

Ma, come semplicisticamente simulato, esiste probabilmente un limite fisico all’espansione anche dei fenomeni più virtuosi e quanto realizzato in termini di apertura delle frontiere dal secondo dopoguerra ad oggi è stata una cavalcata di dimensioni senza precedenti. Questo limite potrebbe essere superato ipotizzando tariffe e dazi negativi ovvero uno scenario veramente estremo in cui i beni importati verrebbero sovvenzionati dagli stessi paesi importatori. Oppure più semplicemente e realisticamente potrebbe essere necessario non tanto ridurre gli scambi commerciali quanto ridare fiato alle componenti interne del PIL mondiale, senza le quali anche l’interscambio farebbe fatica ad espandersi ulteriormente dai già elevati livelli attuali.

 

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