Nel proseguire il ragionamento sull’attività cosiddetta di stock-picking, in altre parole la selezione delle singole società ritenute più promettenti da inserire in un portafoglio azionario, coinvolgiamo un investitore famoso, Warren Buffett (WB). Oltre ad essere l’azionista maggioritario della società Berkshire Hathaway (BH), quotata alla Borsa di New York e specializzata nell’asset management, WB ha chiara fama come gestore di portafoglio e stock-picker.

Ultima in termini di tempo è la sua recentissima scelta di acquistare una quota rilevante di Apple, contribuendo al continuo successo, borsistico e non, della maggiore capitalizzazione di Borsa americana e mondiale, ormai prossima ai mille miliardi di dollari. Possiamo aggiungere che non è sempre andata bene. Ad esempio, nel 2012 WB investì nella società inglese Tate & Lyle, leader nella produzione di zucchero, e in quel caso i risultati furono molto deludenti.

A parte i singoli episodi, sembra interessante lo studio (*) effettuato sulle caratteristiche degli investimenti di BH. Innanzitutto BH ha investito, e tuttora investe, in due tipologie di asset: le società quotate di cui detiene partecipazioni di minoranza e le società non quotate di cui detiene il controllo. Si può dire che BH ha le caratteristiche simultanee di un fondo comune e di un fondo chiuso, come raffigurato nello schema di bilancio stilizzato. In aggiunta a questi due filoni d’investimento BH ha storicamente attivato un effetto leva che le ha permesso di amplificare le scelte di portafoglio.

L’analisi compara i risultati raggiunti da BH con altri fondi attivi da almeno trent’anni e con la performance delle singole società quotate americane. I risultati sono eccellenti, collocando BH sempre nelle primissime posizioni grazie alla scelta di investire in società sottovalutate, di qualità e con volatilità contenuta. L’aspetto più singolare dell’analisi, però, riguarda il confronto delle performance della parte pubblica rispetto a quella privata delle partecipazioni azionarie di BH.

Emerge che le partecipazioni quotate hanno generato rendimenti costantemente superiori, e con oscillazioni più contenute, rispetto alle partecipazioni non quotate. Questo dato indica che la capacità di WB di generare rendimenti eccellenti è maggiore quando detiene partecipazioni di minoranza di società quotate mentre è meno brillante quando interviene direttamente sulla gestione delle società. Questa evidenza sembra confortare non tanto l’idea di una scarsa capacità imprenditoriale di WB bensì la esistenza di una forse ovvia distinzione, e necessaria separazione, tra il ruolo d’investitore e quello di amministratore.

Inoltre l’esperienza di BH e WB segnala come l’individuazione delle società più meritevoli di essere selezionate dagli stock-picker non richiede l’accesso a informazioni diverse da quelle disponibili al largo pubblico ma una disciplinata, metodica e impegnativa attività di valutazione delle aziende quotate associata a una precisa definizione dei singoli obiettivi e dei profili di rischio. In ogni caso anche un investitore di successo come WB è soggetto all’aleatorietà implicita dei mercati finanziari e all’inevitabile possibilità di registrare perdite.

(*) http://www.nber.org/papers/w19681

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