Proseguendo nella ricerca ed esposizione di alcuni criteri di valutazione dei mercati azionari troviamo il cosiddetto PE 10. Si tratta di una metodologia che tenta di ridurre l’impatto delle oscillazioni di breve periodo, derivanti da tensioni o euforie momentanee, per individuare un valore più coerente con l’esperienza del passato e con la stabilità dei risultati delle società quotate.

Il termine PE 10 significa che le quotazioni di oggi vengono confrontate con la media degli utili dei dieci anno precedenti e non, come altre metodologie proiettate verso il futuro suggeriscono, con gli utili prospettici o con la loro crescita attesa. E’ senz’altro un criterio più conservativo e prudente di tanti altri e, come ripetuto più volte, ad una nutrita schiera di estimatori si contrappone un altrettanto numerosa pattuglia di detrattori.

Il metodo del PE 10 ha un doppio vantaggio: a) smorzare gli effetti dei cicli economici e b) attenua gli effetti della volatilità di alcuni mercati particolarmente concentrati in alcuni settori, quindi strutturalmente più instabili, per la mancanza di meccanismi di compensazione tra settori ciclici e settori anticiclici e di cui il mercato azionario italiano è un buon esempio.

Le valutazioni attuali mostrano, anche con questa metodologia come già riscontrato per altre (Regola del 20, CAPE), dei livelli piuttosto elevati per la Borsa americana, soprattutto se si esclude la bolla internet a cavallo di inizio millennio, e valori viceversa sacrificati sia per gli altri Paesi sviluppati che per quelli emergenti. Considerando i livelli di PE 10 dei singoli mercati si può notare come tra le nazioni meno valorizzate si trovino i quattro principali paesi del sud Europa.

La Grecia segnala un valore di PE 10 addirittura insignificante, meno di 3, determinato dal confronto con utili pre-crisi che ad oggi non sono stati recuperati anche perché sono scomparse importanti società. Anche Portogallo, Spagna e Italia segnalano valori tra i minori della zona euro e prossimi alle valutazioni più dei Paesi emergenti che di quelli sviluppati. In quest’ottica sembra che il PE 10 si basi sull’assunto che non si sia verificata nel decennio passato una rottura strutturale nelle condizioni dei singoli mercati finanziari ovvero la necessità di operare in condizioni di continuità storico-finanziaria.

Dal lato delle valutazioni elevate ritroviamo nelle prime quattro nazioni ovviamente gli USA insieme a Danimarca, India e Irlanda. Sull’Irlanda si potrebbe fare lo stesso discorso della Grecia, avendo anch’essa sperimentato effetti importanti dalla crisi di dieci anni fa con la scomparsa di importanti istituzioni finanziarie con i loro corposi utili. Sembra, ancora una volta, che l’approfondimento delle metodologie di valutazione, al di là delle finalità specifiche, fornisca informazioni che superano l’obiettivo di partenza. In questo caso si di potrebbe sostenere che le modalità di uscita dalla Grande Crisi Finanziaria abbiano per qualche ragione premiato alcuni più di altri.

Le puntate precedenti:

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4994-la-magia-del-tre-per-cento.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/4996-la-magia-del-tre-per-cento-seconda-parte.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/5007-la-regola-del-20.html

https://www.centroeinaudi.it/lettera-economica/articoli-lettera-economica/ricerche/5017-il-ritorno-potenziale.html

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