Osservatorio Europa (2003)
La Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) rappresenta il secondo pilastro alla base dell’Unione Europea. La struttura in pilastri è nata con il Trattato di Maastricht, ma il progetto di dotare l’Europa di una politica estera e di difesa comuni risale agli albori della costruzione europea.
Ciononostante, dopo tutti questi anni la PESC è ancora poco incisiva, come dimostrano anche i recenti avvenimenti internazionali. L’Europa si è presentata divisa su due fronti, quello pro e quello contro l’intervento in Iraq: il Regno Unito, la Spagna, l’Italia, il Portogallo, la Danimarca, la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Slovenia, la Slovacchia, l’Estonia, la Latvia e la Lituania si sono dichiarate a favore; contrarie la Francia, la Germania, il Belgio e il Lussemburgo. La pluralità delle posizioni assunte nell’attuale Unione Europea si complica ulteriormente considerando che a favore degli Stati Uniti si sono pronunciati anche gli stati dell’Est di prossima adesione. Viene da chiedersi, insomma, se mai l’Europa riuscirà a diventare una potenza internazionale unitaria, a parlare con una sola voce, aumentando così la propria credibilità e la propria forza.
La crisi irachena rivela delle divergenze di idee, da parte degli europei, sulla stessa evoluzione dell’ordine mondiale: ci si sta forse abituando all’idea che si stabilisca definitivamente un potere egemonico statunitense? L’Europa è stata edificata sull’alleanza con gli Stati Uniti, i quali oggi predicano una guerra globale al terrorismo e vogliono dimostrare che solo con la forza, e agendo in via preventiva, si può porre fine all’anarchia internazionale. Questa visione, che potremmo definire "neo-imperialistica" e incurante degli accordi internazionali, sta conducendo a una delegittimazione dell’intero sistema delle Nazioni Unite. Sono necessarie nuove basi solide su cui l’Europa possa costruire una politica estera e di sicurezza comune, liberandosi finalmente della dipendenza dagli Stati Uniti senza per questo rinnegare la cooperazione con essi.
La criticità della situazione attuale ha portato Valéry Giscard d’Estaing ad affermare che la Convenzione non potrà raggiungere alcuna conclusione sul futuro della PESC fintantoché gli stati europei non riusciranno ad assumere una posizione comune in politica estera.
Jacques Delors, storico ex presidente della Commissione Europea, ha auspicato un ravvicinamento della Francia agli Stati Uniti, ma si è anche pronunciato sull’impossibilità di creare una vera e propria politica estera comune almeno per i prossimi 20 anni: i tempi, a quanto pare, non sono maturi.
Secondo Etienne Davignon (vicepresidente della Società Generale del Belgio e membro del CEPS, il Centro Europeo di Studi Politici), le alleanze formatesi in occasione della guerra in Iraq sono dettate dalle circostanze e non sono destinate a cristallizzarsi in strutture permanenti.
Ma quali sono gli ostacoli concreti a un buon funzionamento della PESC?
Neill Nugent, importante studioso di tematiche europee, individua tre ostacoli principali:
- l’Unione Europea non è uno stato, quindi non ha nessun interesse nazionale da promuovere; gli stati, spesso miopi, faticano a vedere i vantaggi che trarrebbero da una "federalizzazione" della loro diplomazia e dei loro eserciti. In particolare, gli stati maggiori hanno alle spalle lunghe tradizioni di influenza sulla scena mondiale, che sono restii ad abbandonare (l’asse "franco-tedesco" in occasione del conflitto in Iraq ha sì difeso l’idea di un’Europa potenza autonoma, ma ha rivelato anche il desiderio di Francia e Germania di imporsi come voci soliste nel concerto europeo);
- la politica estera dei governi degli stati membri è spesso improntata da orientamenti ideologici conflittuali: prova ne sia che il Consiglio dei Ministri dell’Unione non è riuscito ad adottare una posizione comune riguardo alla crisi irachena;
- la creazione di una politica di difesa comune è estremamente problematica per la sua stretta associazione con la sovranità nazionale e per le differenze nell’impegno degli stati membri nei confronti delle varie organizzazioni di difesa/sicurezza, a cominciare dalla NATO.
Le azioni concrete della PESC attuate finora indicano una progressiva tendenza verso la costituzione di una vera e propria politica di difesa europea. Lo dimostrano l’Operazione Concordia in Macedonia (sostituitasi all’Operazione Amber Fox della NATO nel marzo 2003) e la Missione di Polizia dell’Unione Europea in Bosnia-Erzegovina (gennaio 2003). Da segnalare anche la partecipazione dell’UE alla ricostruzione dell’Afghanistan come maggior donatore internazionale e organizzatore della Conferenza di Petersberg per la formazione di un governo transitorio.
L’incisività dell’azione estera europea appare comunque scarsa, visto che le missioni di Petersberg concernono essenzialmente la gestione delle crisi e l’assistenza umanitaria, senza ambire a una presenza europea più forte. Si stanno dunque muovendo alcuni passi per dotare la PESC di strumenti più idonei: una proposta recente del Parlamento Europeo prevede la costituzione di un’Agenzia Europea degli Armamenti, giacché ora come ora, senza il ricorso alla struttura militare della NATO, il contingente di crisi UE si scontra con limiti precisi dati dal gap tecnologico esistente fra Europa e Stati Uniti.
Inoltre, la struttura bicefala della PESC – oggi guidata dall’Alto Rappresentante (Javier Solana) e dal Commissario per le Relazioni Esterne (Chris Patten) – appare piuttosto macchinosa ed è aspramente criticata anche in ambito istituzionale, tant’è che lo stesso Parlamento Europeo ha proposto di fondere i compiti di Solana e Patten in un’unica figura.
Infine, secondo il Parlamento sarebbe necessario che le decisioni in ambito PESC venissero prese a maggioranza qualificata anziché all’unanimità.
Sono molte, dunque, le questioni da risolvere prima di poter affermare che l’Unione Europea possiede una vera politica estera e di difesa comune. Per ora l’idea resta sostanzialmente sulla carta, ma si tratterà presto, forse, di una Carta costituzionale.