Osservatorio Europa (2003)
Blair e Giscard d’Estaing possono ritenersi soddisfatti: il primo si crogiola nella certezza di avere tutelato la sovranità dell’amata Inghilterra, il secondo nell’orgoglio per essere assurto al ruolo di vero e proprio dittatore in seno alla Convenzione. Hanno vinto simbolicamente, con l’eliminazione del termine "federale" dal progetto di trattato costituzionale, ma anche più concretamente, con il mantenimento dell’unanimità in settori chiave per l’evoluzione di un’Europa Unita, quali la politica estera e di difesa e la politica fiscale.
Agli euroscettici inglesi, che dalle colonne dei quotidiani reclamavano un referendum popolare per l’approvazione della futura costituzione europea, Blair ha placidamente risposto che non ve n’è alcuna necessità, dato che il nuovo trattato non prevede innovazioni che potrebbero sconvolgere le prerogative del Regno Unito in qualità di stato sovrano.
Un successo, dunque, per la realpolitik di Valéry Giscard d’Estaing, che ha preferito volare basso per non rischiare, forse, di vedere cestinati 15 mesi di lavoro dalla Conferenza intergovernativa. Ma si è perso lo scopo della Convenzione, ben più ambizioso in partenza: questa si era presentata come una nuova possibilità, dopo le delusioni derivanti dal compromesso di Nizza, per far evolvere l’Unione Europea come entità indipendente e forte. Chissà se ce ne saranno altre in futuro.
È stato dato molto più ascolto alle esigenze dei governi nazionali che alle proposte dei membri della Convenzione che non rappresentavano le forze al governo: il metodo convenzionale ha così perso la sua ragione di esistere, data dalla capacità di superare i blocchi posti dall’interesse nazionale delle Conferenze intergovernative.
Col senno di poi, ci si sarebbe potuti accontentare di una semplice riunione dei rappresentanti dei governi, strutturata ben più semplicemente e meno dispendiosa. Barnier ha dichiarato che i contrasti all’interno della Convenzione (soprattutto per quel che riguarda la riforma istituzionale) non sono fra nord e sud, fra paesi piccoli e grandi, ma fra coloro che hanno ambizione politica e coloro che non ce l’hanno. Ricorda un po’ una frase di Altiero Spinelli, padre del federalismo europeo, che dopo la guerra considerava i tempi maturi per iniziare la lotta politica a un livello più alto di quello interno, battendosi per una federazione europea capace di superare gli egoismi nazionalistici. La "lotta" all’interno della Convenzione si è vista ben poco, essendo prevalse da subito le idee del presidente. Inoltre, molto spazio è stato dedicato a risolvere questioni di contorno, mentre quella più importante, la riforma delle istituzioni, è stata affrontata solo poco tempo fa. Il dibattito non ha potuto svilupparsi perciò come avrebbe dovuto, anche perché, come si diceva, si è tenuto scarsamente conto delle proposte di emendamento rispetto al progetto del praesidium (in confronto al quale sembrano quasi più ambiziosi gli attuali trattati!). Ciò nonostante, sono da segnalare alcune proposte interessanti; fra esse, quella che viene dai liberali Duff, Dini e Lequiller, i quali si sono dichiarati contrari a una doppia leadership dell’Unione che veda contrapporsi il Presidente del Consiglio al Presidente della Commissione. Occorre, secondo loro, un’unica personalità rappresentativa dell’Unione cui fare riferimento, che garantisca trasparenza e coerenza, così come necessaria è una separazione netta fra esecutivo e legislativo.
Ormai il tempo a disposizione della Convenzione è quasi finito, dato che il progetto di trattato costituzionale sarà presentato al Consiglio Europeo di Salonicco del 20 e 21 giugno.
L’attuale progetto confonde ulteriormente la struttura istituzionale dell’Unione, attribuendo ruoli confusi al Presidente della Commissione e alla nuova figura di Presidente dell’Unione. Occorre considerare che l’Europa si regge su un’architettura fragile e complicata, non paragonabile a quella statale: si tratta di un modello ibrido che, se si vuol rendere più ambizioso, può evolvere solo in senso federale, attribuendo alla Commissione l’auspicato ruolo di "governo dell’Unione", eliminando il voto all’unanimità che condurrebbe, in un’Unione a 25, alla sicura paralisi del sistema, e più poteri al Parlamento Europeo, espressione di democrazia per eccellenza.
Verrebbe così meno il famoso deficit di democrazia che è stato il la che ha reso necessaria una riforma istituzionale man mano che le competenze dell’Unione si allargavano.
Gli Stati membri, in conclusione, dovrebbero essere d’esempio per quelli candidati (che già sentono forte l’influenza dei grandi e sono ben poco attratti da un’Unione federale), che presto influenzeranno politiche che riguardano anche noi: bisogna creare una visione comune dell’Unione Europea… avrebbe dovuto essere compito della Convenzione!