Osservatorio Europa (2003)
Il primo luglio scorso è iniziata la Presidenza italiana dell’Unione Europea. Per gli addetti ai lavori si tratta di un’espressione di facile decrittazione, ma per chi si imbatte solo raramente nelle vicende europee e comunitarie il rischio di considerarla poco più di un’attribuzione onorifica è molto concreto.
Cosa significa dunque presiedere l’Unione Europea per sei mesi? Prima precisazione: presiedere l’UE significa presiedere il Consiglio Europeo, dal momento che le altre due istituzioni politiche di Bruxelles, il Parlamento Europeo e la Commissione, hanno presidenti diversi e più "stanziali", che durano in carica 5 anni. Seconda precisazione: la titolarità della Presidenza è in capo allo Stato membro e non a persone fisiche.
La seconda precisazione serve a comprendere la reale importanza di questi sei mesi per ciascuno dei paesi che compongono l’Unione. Infatti, se l’attenzione mediatica si manifesta consistentemente in occasione dei vertici che riuniscono i Capi di Stato e di Governo due volte nel corso del semestre, il lavoro dell’Unione si sviluppa quotidianamente sotto la guida del paese che detiene la Presidenza. Cioè presiede le riunioni formali e informali dei Ministri che compongono il Consiglio dei Ministri e le riunioni del COREPER, l’organo che riunisce i rappresentanti permanenti degli Stati membri presso l’Unione e che si occupa di preparare i vari dossier da sottoporre ai Consigli. Ciò detto, cosa significa "presiedere"? In realtà, trovandoci in un ambiente ad altissimo tasso di diplomazia, i poteri della Presidenza si risolvono quasi essenzialmente nella capacità di influenzare le decisioni da adottare, agendo sulla possibilità di definire gli ordini del giorno e la tempistica delle riunioni e, cosa più importante, guidare le mediazioni e i compromessi tra gli Stati e le altre istituzioni europee.
Risulta quindi evidente come, più che il ruolo, il buon esito di una Presidenza, per l’UE e per il paese che ne è titolare, dipenda piuttosto dalle modalità con le quali si gestisce tale Presidenza. Capacità di influenza, dunque, che si estrinsecano nell’autorevolezza con cui si gestiscono riunioni e incontri, competenza nell’affrontare i diversi dossier, misura ed equilibrio necessari a condurre negoziati spesso difficili.
Va da sé che, se da un lato l’azione dello Stato titolare della Presidenza semestrale risulta essere sotto i riflettori dell’attenzione europea, dall’altro il peso dei suoi interessi nazionali assume un valore relativamente maggiore, consentendogli di inserire tra le priorità "europee" temi che in realtà corrispondono più spesso a priorità nazionali o di governo.
Se quindi l’idea che la maggior parte di noi si è fatta relativamente alla Presidenza italiana dell’UE come di un’occasione per "mettere l’Italia in vetrina" non è erronea, essa risulta essere però quanto mai parziale, dal momento che partite ben più difficili e importanti per il nostro paese e per l’Europa si giocano nel retrobottega.
Il Governo italiano ha inserito tra le sue priorità assolute la firma del Trattato costituzionale uscito dalla Convenzione europea, che si auspica avvenga nel prossimo autunno a Roma. Lodevole l’iniziativa di consegnare alla storia il nome della Città Eterna insieme alla prima Costituzione europea; meno se l’intenzione del Governo sarà quella di firmare il Trattato quale che sia.
Il testo uscito dalla Convenzione è lacunoso e deficitario, "poco ambizioso", per usare le parole del Presidente della Commissione Romano Prodi. La Conferenza Intergovernativa che dovrebbe aprirsi a breve per adottare quel testo ha tutto il potere di riformularlo completamente – cosa su cui non nascondiamo rilevanti dubbi – o, quantomeno, migliorarlo ancora. Il nostro auspicio è che l’Italia, presiedendo la Conferenza, voglia dimostrare di meritarsi la primogenitura costituzionale impegnandosi perché quel testo venga effettivamente migliorato il più possibile.
Purtroppo il timore che si rinunci alla qualità pur di fare in fretta per arrivare alla firma prima che scada il semestre sembra più che legittimo. E, visto l’inizio non esattamente incoraggiante, anche il timore che un po’ dell’autorevolezza necessaria si sia persa per strada non è privo di fondamento.
La Presidenza italiana inizia in salita, ma ricordiamoci che, oltre che un popolo di poeti e navigatori, quello italiano annovera anche scalatori di livello notevole e che il nostro Ministro degli Esteri, da esperto sciatore, conosce bene le alte vette. Buona arrampicata, dunque!