Osservatorio Europa (2003)
Il 1° luglio 2003 si inaugura il semestre di Presidenza italiana dell’Unione Europea. Per il 4 di ottobre è convocata una Conferenza Intergovernativa (CIG) cruciale nel percorso di integrazione europea, con il compito di approvare o modificare il Progetto di Trattato costituzionale stabilito dalla Convenzione e consegnato al Consiglio Europeo di Salonicco il 20 giugno 2003.
La firma della nuova Costituzione europea è prevista dopo il 1° maggio 2004 (data di ingresso dei 10 nuovi Stati membri), possibilmente prima delle elezioni per il Parlamento Europeo (13 giugno 2004).Il programma del Governo italiano è ambizioso e articolato. Per quanto riguarda l’economia, ci si propone di perseguire i punti fissati dalla Strategia di Lisbona, in particolare la modernizzazione del mercato del lavoro (con l’obiettivo di raggiungere un tasso dell’occupazione del 70% entro il 2010) e la promozione dell’imprenditorialità (con il sostegno alle piccole e medie imprese). È poi previsto l’avvio dei progetti TEN (TransEuropean Network) per la creazione di una rete efficiente dei trasporti, in collaborazione con la BEI (Banca Europea per gli Investimenti).
Per quanto concerne le relazioni internazionali, i punti fondamentali sono l’instaurazione di rapporti stabili di collaborazione con la Federazione Russa e l’approfondimento del Partenariato Mediterraneo, nel quadro del quale è prevista l’istituzione di un’Assemblea parlamentare (di questo si è discusso più lungamente durante la Conferenza Euromediterranea tenutasi a Napoli il 2 e 3 dicembre). Deve inoltre essere definita una tabella di marcia per la conclusione entro il 2004 dei negoziati di adesione con la Bulgaria e la Romania (i due Stati entreranno a far parte dell’UE dal 1° gennaio 2007).
Ma il punto centrale del semestre di Presidenza italiana è, come detto, la Conferenza Intergovernativa del 4 ottobre a Roma. Dal 1957 si sono tenute cinque CIG prima di questa, e tutte hanno avuto il compito di modificare i trattati esistenti al momento tramite un processo di negoziazione fra i rappresentanti degli Stati membri. La CIG di Roma riveste un’importanza fondamentale per il futuro dell’UE, non solo perché si è aperta per la prima volta con un Progetto di Trattato costituzionale redatto da una Convenzione, ma anche in considerazione del suo compito di preparare l’Unione all’allargamento ormai imminente. I 10 Stati che entreranno a far parte dell’UE nel 2004 partecipano a pieno diritto alla CIG, sullo stesso piano dei 15 membri attuali, mentre i tre Stati candidati (Bulgaria, Romania e Turchia, della quale non è stata ancora accettata definitivamente la candidatura) partecipano alla CIG in veste di osservatori. La Conferenza è tenuta dai Capi di Stato o di Governo, assistiti dai membri del Consiglio Affari Generali e Relazioni Estere e dai rappresentanti della Commissione Europea. Il Progetto di Trattato costituzionale ha, pur con una certa mancanza di audacia, riportato al pettine i nodi di sempre e i disaccordi si sono moltiplicati di pari passo con le discussioni.
Dopo l’apertura in grande stile a Roma, durante la quale la Presidenza italiana dichiara che il Progetto di Trattato proposto dalla Convenzione non deve essere modificato per non rompere i delicati equilibri frutto di tanti compromessi, iniziano i problemi.
Il 13 ottobre a Lussemburgo si tiene la prima riunione, dopo quella di apertura, del Consiglio Affari Generali, nella futura composizione a 25 Stati. Subito viene affrontata la questione dei membri della Commissione dopo l’allargamento, che il Progetto di Trattato prevede in numero di 25, uno per Stato. Solo 10 di questi "nuovi" commissari avrebbero diritto di voto, restando gli altri "senza portafoglio". La Commissione si era pronunciata contro tale proposta, suscitando le proteste dei piccoli paesi, che temono di non essere debitamente rappresentati. D’altro canto, i grandi paesi, che attualmente hanno 2 commissari nel collegio, vogliono salvaguardare il proprio peso. Viene forse persa di vista, nella discussione, la natura della Commissione, che è organo di individui, non di Stati, i quali possono esservi rappresentati a rotazione senza indurre alcuno squilibrio di potere nell’architettura europea.
Il discorso sulla nuova figura di Ministro degli Affari Esteri dell’Unione rimane invece più vago (così come, del resto, l’articolo relativo del Progetto, n. 27), anche se non mancano blandi dissensi da parte di Polonia e Regno Unito. Se ne riparlerà quando esisterà davvero una politica estera europea. Il discorso viene comunque approfondito nella riunione del 28 e 29 novembre (vedi oltre).
Il 16 ottobre si tiene a Bruxelles un incontro dei Capi di Stato e di Governo nel quale viene affrontato il problema della ponderazione dei voti, con Spagna e Polonia contro tutti: i due paesi si schierano per il mantenimento del Trattato di Nizza, a loro più favorevole. Quest’ultimo prevedeva che Spagna e Polonia si vedessero assegnato lo stesso numero di voti in seno al Consiglio dei Ministri rispetto al Progetto di Costituzione; la differenza sta nel fatto che la proposta della Convenzione definisce la maggioranza qualificata come "voto della maggioranza degli Stati membri, che rappresenti almeno i tre quinti della popolazione dell’Unione" (articolo 24). Se non ci fosse questa clausola, Spagna e Polonia sarebbero "sovrarappresentate" perché, pur con una popolazione assai minore, avrebbero solo 2 voti in meno rispetto alla Germania. Si tratta quindi di trovare una soluzione per far tutti contenti: la Presidenza italiana propone una serie di incontri bilaterali al termine dei quali presentare un compromesso per cercare di chiudere la CIG entro il semestre italiano. Il 22 ottobre il presidente Berlusconi spiega al Parlamento Europeo il modo in cui le negoziazioni saranno condotte: individuate le posizioni di ogni Stato membro, la Presidenza stilerà una proposta di compromesso da sottoporre al Consiglio Affari Generali del 28 e 29 novembre con lo scopo di raggiungere un grado di consenso accettabile, quindi da portare innanzi alla CIG conclusiva del 12 e 13 dicembre.
Il 27 ottobre i Ministri degli Affari Esteri dei 25 discutono degli altri punti dolenti contenuti nel Progetto della Convenzione. In particolare, Regno Unito e Austria si pronunciano contro l’estensione del voto a maggioranza qualificata in settori quali la politica fiscale e sociale e la cooperazione giudiziaria. Inoltre, il Consiglio si dichiara contrario alla proposta secondo la quale al Parlamento sarebbe toccata l’ultima parola sul bilancio.
Durante l’incontro dei Ministri degli Affari Esteri del 18 novembre, l’ultimo prima del conclave del 28 e 29 novembre a Napoli, emergono nuovi contrasti fra i 25, soprattutto riguardo alle modalità del voto a maggioranza qualificata e alla composizione della Commissione. Per ciò che concerne la prima questione, il Regno Unito appoggia la richiesta della Polonia di mantenere la ponderazione prevista nel Trattato di Nizza. Si discute poi del doppio ruolo del futuro Ministro degli Affari Esteri dell’Unione, che sarebbe membro sia del Consiglio che della Commissione ("doppio cappello"), cosa che suscita le perplessità di Regno Unito, Portogallo e Danimarca: il Ministro, infatti, farebbe parte della Commissione ma risponderebbe del suo operato agli Stati membri. Dunque emergerebbe una certa contraddittorietà, dal momento che il collegio dei commissari dovrebbe essere l’istituzione indipendente per eccellenza: l’articolo 213 comma 1 del Trattato CE infatti recita che "la Commissione è composta di 20 membri, scelti in base alla loro competenza generale e che offrano ogni garanzia di indipendenza". Altro punto all’ordine del giorno è la procedura di revisione del Trattato costituzionale, a proposito della quale gli Stati lamentano il fatto che i parlamenti nazionali non godano di un potere di veto, non possano cioè bloccare una proposta di emendamento.
La Presidenza italiana presenta il 25 novembre una proposta di compromesso per cercare di superare le divergenze, ma a tale documento vengono mosse diverse critiche perché, a detta di molti, lascia insoluti i problemi più urgenti.
Il 28 e 29 novembre si tiene a Napoli il conclave dei Ministri degli Affari Esteri, con lo scopo di preparare il terreno alla riunione dei Capi di Stato e di Governo del 12-13 dicembre. Nella prima giornata di lavoro si registra un inatteso accordo fra Regno Unito, Francia e Germania sulla difesa comune, in particolare sulla creazione di un quartier generale della difesa europea che dovrebbe trovarsi, secondo la proposta inglese, in seno alla NATO al fine di evitare contrapposizioni con l’Alleanza Atlantica. La Difesa europea nascerà, se necessario, tramite una cooperazione strutturata che permetterà ad alcuni dei paesi membri di approfondire l’integrazione in questo settore se vi sarà consenso unanime in seno al Consiglio. È inoltre prevista una clausola di mutua difesa per la protezione reciproca degli Stati membri. Rimangono gli attriti sull’inserimento nella Costituzione del riferimento alle radici cristiane dell’Europa, cui si oppongono fermamente Francia, Danimarca e Belgio, e sul voto a maggioranza qualificata in politica estera, che riceve un secco "no" da parte inglese. Il 29 novembre si conferma il blocco sul voto a maggioranza qualificata: viene perciò proposto di rimandare la questione al 2009, utilizzando nel frattempo la ponderazione decisa a Nizza. Ciò incontra l’opposizione del Parlamento europeo e della Germania, ma il Ministro Frattini replica che il rinvio ha il solo scopo di verificare se il meccanismo decisionale di Nizza funziona o se è il caso di adottare quello proposto dalla Convenzione. Per quanto riguarda, invece, il numero dei commissari con diritto di voto, la maggioranza degli Stati appare favorevole all’opzione "uno Stato un commissario", così come si raggiunge un accordo sul "doppio cappello" del Ministro degli Esteri.
L’8 dicembre i Ministri degli Esteri, guidati da Frattini, fanno un bilancio della CIG giungendo alla conclusione che 91 punti di disaccordo su 92 sono stati risolti durante gli incontri; resta sul tavolo il problema più importante, quello della ponderazione dei voti. La Presidenza italiana redige un nuovo compromesso ma non tocca la questione, schierandosi per il mantenimento della doppia maggioranza.
Il 12 e 13 dicembre, a Bruxelles, la CIG non riesce a trovare un accordo sulla Costituzione. Una battuta d’arresto che si deve a quei paesi, Spagna e Polonia su tutti, che non hanno acconsentito a modificare il sistema di ponderazione deciso a Nizza; ma anche alla Presidenza italiana, che si è presentata all’appuntamento cruciale spaccata al suo interno: con Fini e Frattini, da un lato, portatori dell’ottica di un Quirinale favorevole a seguire gli altri paesi fondatori nel salto verso un nucleo "federale" che andasse avanti comunque, e Berlusconi, dall’altro, intenzionato a far camminare tutti allo stesso passo. Nel caso di specie, il passo dell’immobilismo. La decisione sulla Costituzione è dunque rimandata sine die, forse durante la presidenza irlandese, forse sotto quella olandese.
Pur di non accettare o proporre un "compromesso al ribasso", la Presidenza italiana preferisce passare la patata bollente: si trattava di cercare di andare avanti in ogni caso, anche in pochi, o fermarsi. L’Italia sceglie lo stop, nascondendosi dietro la coperta, un po’ corta, della Presidenza che l’obbligava a garantire i diritti di tutti; e tuttavia non rinunciando a sottolineare i risultati degli ultimi sei mesi di lavoro: i 29 progetti di grandi opere transnazionali, quattro delle quali coinvolgono l’Italia (la Torino-Lione, le autostrade del mare, il corridoio Palermo-Berlino e l’asse ferroviario Genova-Anversa), l’accordo sulla Difesa europea, la dichiarazione di alleanza incondizionata con gli Stati Uniti, la creazione di un’Agenzia per il controllo delle frontiere esterne dell’UE, costituita in attuazione del programma per uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Inoltre, la conquista dell’Agenzia per la sicurezza alimentare, affidata a Parma.
Chi ha vinto, dunque, e chi ha perso? Ha perso l’Europa, senza dubbio. Hanno perso i convenzionali, i cittadini europei che si aspettavano la nascita di un’Europa più democratica, trasparente e unita. Una volta di più, hanno vinto gli interessi antichi degli Stati nazionali (Stati Uniti compresi…). In realtà, più che di uno scontro sui voti, si è trattato di uno scontro di punti di vista: chi nell’Europa crede come nuovo soggetto politico internazionale e chi invece la vede come quella camera di compensazione a cui si partecipa quando conviene e da cui ci si allontana quando il tornaconto diminuisce. La Gran Bretagna, sorniona, sta alla finestra, non parendole vero di aver, una volta tanto, ottenuto ciò che voleva senza muovere un dito e, ancor più, senza che dita accusatrici le si indirizzino contro dopo il fallimento, ormai definitivamente imputato ad altri. Niente Costituzione, dunque, e Difesa europea sì, ma quella che piace agli americani: non creda, la vecchia Europa, di poter far da sola.
Attendiamo allora le prossime elezioni in Spagna e vedremo, dicono i più ottimisti. Quando Aznar non ci sarà più e, probabilmente, il PSOE si riprenderà il governo, la musica cambierà. Nel frattempo l’allargamento si farà e l’Unione dovrà fare i conti a 25 con istituzioni che funzionano male a 15. Vivremo anni di semi- o totale paralisi istituzionale, finché pochi o tutti capiranno la necessità esistenziale di andare avanti, di tirare fuori dal cassetto quella Costituzione fragilina e rimetterci mano, anche solo a 6, se del caso.