I fatti americani

Note dai seminari del 13 e 26 settembre 2001 per gli «Amici del Centro»

Immediatamente dopo l’attacco dell’11 settembre la Nato è stata riunita appellandosi all’art. 5 (mutuo soccorso in caso di attacco esterno ad uno dei membri): non era mai successo prima. Si pronuncia la parola "guerra".
Gli Stati Uniti colpiranno subito per garantirsi un "effetto sorpresa"? Ci saranno nuovi attacchi terroristici?

La destabilizzazione del momento porterà ad altri disordini, ad esempio le azioni israeliane immediatamente seguenti l’11 settembre, oppure manifestazioni – magari in Egitto o nell’area del Golfo? Nei pochi giorni di apparente paralisi americana questi erano alcuni dei quesiti che ci si poneva, alimentati dai timori che l’attacco alle Torri Gemelle mettesse in luce una debolezza istituzionale americana.
Inoltre la drammaticità e lo sconcerto per i fatti avvenuti, in cui sono state coinvolte migliaia di persone ignare, inquieta particolarmente in quanto, almeno agli occhi dell’opinione pubblica, è mancata una rivendicazione esplicita.
Il terrorismo, purtroppo anche a casa nostra, ci aveva abituati a proclami in cui l’obiettivo e la simbologia dell’azione compiuta venivano chiaramente evidenziati. Le prime ipotesi di connessione diretta dell’attacco con la crisi mediorientale, andata nuovamente degenerando forse per alcune mosse dettate dalle politica estera del governo Bush, sono state scartate: risulta evidente che l’attacco è diretto al cuore degli Stati Uniti.
Chi sono gli artefici? Sicuramente l’azione dell’11 settembre ha richiesto lunga pianificazione (non meno di uno o due anni) e professionalità – dunque ingenti costi.
Si tratta di un "vecchio della montagna", che agisce in modo autonomo, oppure di un’organizzazione tipo "Spectre" – la quale tuttavia, a differenza dei film di James Bond, si avvale dell’appoggio di alcuni governi? Può essere plausibile che siano coinvolti anche elementi eversivi americani?
A tre settimane dall’attacco non ci sono stati né altri attentati né capovolgimenti mondiali; i terroristi avevano esaurito così le loro risorse, oppure aspettano che si scateni l’offensiva militare americana? Pare certo che questa, in qualche forma, ci sarà, e gli americani si sentono in clima pre-bellico molto di più di noi europei.

Forse in questi giorni è successo qualcosa che non sappiamo, forse gli indizi lasciati dai presunti attentatori non sono casuali. Sicuramente gli americani hanno sfruttato questo tempo non solamente per raccogliere prove ma soprattutto per tessere un’alleanza intorno a loro. La coalizione a cui la diplomazia sta lavorando è a geometria variabile e non scevra di incognite – ad esempio sulla posizione della Cina o sul ruolo della Russia in un arco temporale meno immediato –, tuttavia è molto ampia e trasversale rispetto alle alleanze dei conflitti passati. In questo ambito non è purtroppo ancora ben definito il ruolo dell’Unione Europea come entità, che pare ancora troppo sfumato rispetto alle posizioni dei singoli paesi (Francia, Regno Unito, Italia…).
La guerra contro il terrorismo è annunciata lunga e dura, ma contestualmente si ipotizzano gli scenari futuri: un mondo con più controlli, più limitazioni – quindi meno movimenti, meno flussi migratori – meno globalizzato rispetto ad ora. Oppure un mondo più "americano" in cui crescerà ancora l’influenza degli Stati Uniti. E per l’Italia? Forse cambierà poco, o forse politicamente l’opposizione potrebbe tendere ad ingessarsi, facendo mancare un certo ricambio sulla scena nazionale.

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