Note dal seminario del 22 novembre 2001
Kabul è caduta. La guerra però non si è arrestata, benché l’organizzazione di Bin Laden sia stata in buona parte smantellata: il focus della crisi si è spostato sul futuro assetto dell’Afghanistan.
organizzazioni internazionali.
Un altro aspetto su cui riflettere successivamente all’11 settembre è la mancanza di seguito alle minacce di Bin Laden: non ci sono apparentemente stati altri attacchi terroristici. Naturalmente un’alea di dubbio su episodi come la fabbrica di Tolosa, il tunnel del Gottardo e l’ultimo aereo abbattutosi su Queens è plausibile. Contestualmente non si sono avuti paventati sconvolgimenti politici in altri stati islamici.
In effetti, ad oggi non è ancora chiaro l’attacco alle Torri Gemelle in che prospettiva si debba collocare. Si era parlato nei seminari precedenti di un possibile "vecchio della montagna" o di un’organizzazione tipo
"Spectre": ma che tipo di complotto c’era alle spalle? Perché (fortunatamente) non è più successo nulla? Qualcosa è andato storto nei piani dei terroristi? Un’ipotesi è che l’attacco abbia dovuto essere anticipato rispetto ai tempi previsti – ad esempio per l’arresto da parte del FBI, in agosto, di un possibile dirottatore che intendeva prendere lezioni di volo; o ancora, nello stesso periodo, per la destituzione o le dimissioni del capo dei servizi segreti in Arabia Saudita.
Un’altra ipotesi è l’assenza di un grande piano strategico di medio-lungo periodo che supportasse l’enormità dell’atto terroristico compiuto. Se si pensa alla storia recente del Medio Oriente e ai timori che alcuni personaggi hanno destato nel mondo occidentale – dall’espansionismo di Nasser a Gheddafi, dalla rivoluzione khomeinista all’invasione del Kuwait di Saddam – ci si rende conto che l’idea è plausibile.
Il pericolo del terrorismo è tuttavia reale e comunque sentito fortemente dai governi di molti paesi, e l’ampia coalizione internazionale che si è formata ne è la dimostrazione. È pur vero che gli interessi degli stati
aderenti sono molteplici e trasversali – ad esempio la Russia per chiudere la questione cecena, la Cina con i suoi estremisti islamici; le mire per la regione del conflitto in quanto ricca di petrolio e crocevia tra l’Estremo Oriente e l’Occidente, eccetera – e stanno creando un diverso assetto ad alcune questioni internazionali aperte (come gli ispettori Onu e l’embargo iracheno in un momento in cui Saddam è meno appoggiato da Russia e Cina). Inoltre, gli Stati Uniti hanno pagato un prezzo politico su vari fronti per la costituzione e la legittimazione della coalizione: con la Russia, paese produttore di petrolio tenuto in disparte; con Arafat, per cui prende nuovamente forma l’idea di uno stato palestinese; con il Pakistan in termini pragmatici di forti aiuti. Meno palese è la contropartita sicuramente contrattata con la Cina. Anche al vertice della Wto a Doha si è messo fine all’idea di espandere la globalizzazione tale e quale è stata in questi anni.
Molto meno si sa di come la coalizione internazionale funzioni e quali siano i suoi meccanismi decisionali. Potrebbe, in futuro, risultare minante per la sua stessa esistenza la pretesa degli Stati Uniti di averne l’assoluto predominio, con i partner in posizione di semplici gregari.
Dal punto di vista economico l’analisi congiunturale mostra l’acuirsi di una recessione mondiale già annunciata dalla primavera scorsa, ma che sta rivelando caratteristiche diverse dalle recessioni degli ultimi cicli economici, con una caduta concomitante di inflazione, produzione, occupazione e Borsa. Gli strumenti tradizionali utilizzati per ora – diminuzione dei tassi e negli Usa sgravi fiscali – non hanno dato significativi risultati: ad esempio le riduzioni fiscali a favore delle classi di reddito più elevato non hanno portato ad una ripresa dei consumi ma bensì prudentemente ad una riduzione del livello di indebitamento. Resta dunque una sovracapacità produttiva: attualmente le imprese hanno scelto di vendere sottocosto (ad esempio leautomobili) piuttosto che limitare la produzione.
Altra conseguenza dall’11 settembre è la fine del libero mercato. Ora siamo in un mercato regolamentato, dove i governi hanno sostenuto l’andamento della Borsa di New York (che riesce a salire più facilmente quando le quantità scambiate sono esigue) e il cambio euro/dollaro entro una banda piuttosto stretta. Quasi certamente questo atteggiamento delle autorità proseguirà almeno fino dopo le festività natalizie, che tradizionalmente hanno un forte impatto sull’andamento dei consumi.
Sono state messe delle "imbragature" all’economia mondiale per evitare il panico e la caduta libera in un momento in cui già si viveva la disillusione di Internet quale nuovo "motore" dello sviluppo economico.
Con i presupposti evidenziati, gli scenari del prossimo futuro sono quanto mai incerti a livello politico. Intanto, una guerra è risolutiva solamente se esiste un chiaro disegno politico per il dopoguerra: questo si sta formando? La conferenza di Bonn sarà di aiuto? Che significato ha l’ingente spiegamento di forze (compresi i contingenti europei da poco partiti) che si sta concentrando in un’area ben più vasta di quella delle attuali operazioni belliche?
Poi la situazione in area mediorientale e nell’Asia centrale: il conflitto arabo-israeliano, il mutato atteggiamento dell’Arabia Saudita, le sottaciute tensioni tra Stati Uniti, Cina e Russia per l’influenza sulla regione del Mar Caspio, le crisi dei paesi circostanti.
Anche le elezioni che si terranno in Europa, la situazione in Germania, le capacità del nuovo primo ministro giapponese – seppur geograficamente distanti dal conflitto – serviranno a dare un’indicazione della direzione che prenderà la situazione mondiale.
Un’ultima considerazione vale la pena di evidenziare: l’istituzione negli Usa di tribunali speciali, la maggior libertà attribuita all’operato della Cia e la graduale diminuzione delle informazioni che sul conflitto arrivano all’opinione pubblica (anche le navi italiane sono partite senza giornalisti a bordo) danno l’impressione che quel poco che si sa e si vede sia fortemente controllato.