L'economia mondiale dopo l'11 settembre 2001

(2001) di Mario Deaglio

Se avessimo provato a disegnare uno scenario catastrofico per l'economia americana non saremmo riusciti a pensare a qualcosa di così negativo.

Gli attentati l'hanno infatti colpita proprio quando era più vulnerabile, ossia durante una recessione dalle caratteristiche incerte e contro la quale non esiste un rimedio sicuro. I consumi privati paiono destinati a contrarsi: la maggiore disoccupazione stava già riducendo la capacità di spesa delle famiglie mentre la caduta delle Borse ne aveva falcidiato i patrimoni. A tutto ciò ora si aggiunge un potente effetto psicologico per cui ben difficilmente a Natale gli americani saranno indotti a festeggiare, cambiando l'auto, il televisore o il computer. In simili condizioni, è facile prevedere che diminuirà il numero delle imprese disposte a fare nuovi investimenti. Le autorità monetarie cercheranno di contrastare la depressione riducendo ancora, magari fortemente, il costo del denaro, una misura utile ma insufficiente. Gli effetti sul dollaro sono più incerti, ma prevale la sensazione che possa perdere terreno. L'unica speranza, per ora non particolarmente fondata, è che questo periodo terribile duri poco. Con il motore americano del tutto bloccato, sperabilmente solo per qualche mese, l'economia mondiale non riuscirà a evitare una crisi che tutti temiamo intensa e ci auguriamo breve. America Latina e Sud-Est asiatico, infatti, vivono, in pratica, di esportazioni verso gli Stati Uniti, già in diminuzione nel corso degli ultimi mesi e ora destinate a subire un altro duro colpo. Le conseguenze sull'economia mondiale risultano fortemente aggravate dall'intrecciarsi della crisi americana con quella giapponese: ciascuna influenza negativamente l'altra. Anche i giapponesi, infatti, esporteranno di meno in America e probabilmente riporteranno a casa una parte dei loro cospicui averi in dollari. Solo l'Europa, che non ha un forte interscambio commerciale con gli Stati Uniti, rimarrà relativamente immune. Di qui la grande responsabilità europea di accelerare, per quanto possibile, la velocità di una crescita che finora è risultata piuttosto fiacca e addirittura in rallentamento; toccherà al Vecchio Continente, e alla sua nuova moneta, l'euro, di limitare i danni mondiali di questo disastro.

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