L'Unione Europea e il passo del gambero

di Massimo De Andreis

Osservatorio Europa (2000)

 Nel duemila l’Unione Europea rischia di mancare un’occasione storica di riformarsi, e prepararsi al ruolo di attore economico e politico globale di primo piano

Qualche giorno prima di Natale il Vertice di Helsinki ha chiuso la Presidenza finlandese dell’Unione ponendo le basi della prossima Conferenza Intergovernativa che dovrà definire l’assetto della nuova Europa.

Alla vigilia del vertice tutto sembrava deciso a favore di un’impostazione minimalista delle riforme istituzionali. Ma nel corso del vertice, man mano che si discuteva di allargamento, di riforme istituzionali, di politica estera comune si sono moltiplicati gli interventi e le prese di posizione dei capi di governo europei in favore di una maggiore incisività delle riforme. Forse coscienti che le conclusioni del vertice erano state minimaliste dal punto di vista delle riforme istituzionali, alcuni capi di governo hanno fatto dichiarazioni sui rischi per l’Europa di mancare questa occasione per cambiare un modello che di qui a qualche anno potrebbe rivelarsi inadeguato tanto alle sfide dell’allargamento, quanto a quelle dell’approfondimento. (http://europa.eu.int/council/off/conclu/dec99/dec99_it.htm)

Il sasso nello stagno l’ha lanciato il primo ministro lussemburghese Jean Claude Junker. Questi, dopo aver denunciato lo spettro disastroso di una zona di libero scambio nella quale l’Europa rischia di perdere incisività se si limitasse ad ampliarsi senza riformarsi, ha indicato una strada possibile per superare le divergenze: quella delle "cooperazioni rafforzate" tra Stati Membri disposti ad andar più lontano di oggi nell’integrazione. Ma Junker si è poi espresso ancora più chiaramente: «otto Stati, qualsiasi sia il numero totale di paesi membri, possono formare un’avanguardia d’integrazione senza che gli altri possano impedirglielo con un voto».

Anche Jacques Chirac, pur senza essere esplicito come il collega lussemburghese, si è espresso in modo analogo evocando una «messa in opera più flessibile dei nostri progressi come abbiamo già fatto con Schengen e con l’Euro»: due esempi di cooperazione che non coinvolge la totalità dei membri dell’UE

E’ stata poi la volta dell’ex presidente della Commissione Europea Jacques Delors che al Forum di Davos, in un discorso ampiamente ripreso sulle pagine di "Le Monde" e de "La Stampa" ha parlato della necessità di una cooperazione più stretta tra quegli Stati disposti a procedere più rapidamente sulla via dell’Unione politica.

In effetti l’Europa si trova di fronte a una sfida che non può essere elusa. I termini del problema sono questi: le istituzioni europee sono nate nel 1957 con un impianto pensato per la Comunità europea di sei membri. Ora siamo in 15, in un contesto economico, sociale e politico totalmente diverso. Già con i membri attuali dell’Unione Europea, le istituzioni dimostrano la loro inadeguatezza: il meccanismo di voto all’unanimità - ancora molto diffuso - rappresenta un limite grave allo sviluppo dell’integrazione politica.

In questo quadro di istituzioni lente e farraginose a decidere, dove l’opposizione di uno si può trasformare nello stallo della politica, si aggiunge la questione dell’allargamento. Si tratta di un processo inevitabile, che non è neppure pensabile ritardare. Sono troppe le aspettative dei paesi candidati all’adesione. Inoltre non è dignitoso, come qualcuno sta tentando di fare, aprire un dibattito su dove sia il confine dell’Europa dato che è indubbio che Budapest, Praga e Varsavia siano, per cultura, tradizione e storia, non meno europee di Parigi, Roma o Berlino.

Eppure aprirsi ai paesi candidati all’adesione senza aver prima rivisto l’assetto istituzionale europeo significherebbe, per l’Unione Europea, firmare la propria condanna a morte. Allargarsi senza riformarsi causerebbe il ridursi a una zona di libero scambio continentale, rinunciando a qualsiasi prospettiva politica di Unione. Gli sforzi per unificare la moneta, questione economica con un alto valore simbolico di tipo politico, quasi una dichiarazione di intenti di stringere prima o poi un patto di unità politica, sarebbero stati - sotto questo profilo - vani.

Il tempo rimasto per realizzare riforme sostanziali è ormai poco e il disaccordo tra i paesi membri rimane forte. Da un lato Gran Bretagna, Danimarca, Svezia e altre nazioni sono favorevoli all’allargamento senza procedere a riforme sostanziali. E’ l’approccio di quei paesi che, essendo tradizionalmente scettici verso il processo di integrazione, perseguono implicitamente una politica di annacquamento dell’Unione Europea.

Sull’altro fronte ci sono paesi più disposti a riforme incisive (come l’Italia, la Francia e la Germania), ma tali intenzioni appaiono contornate da una pericolosa vaghezza. Quando si scende nel concreto, anche queste nazioni dimostrano una scarsa convinzione a ulteriormente ridurre il peso dei singoli governi nazionali.

Le istituzioni europee mostrano insomma la loro inadeguatezza rispetto alle sfide di fronte alle quali è posta l’Europa: gestione della moneta unica, allargamento, definizione di una politica estera comune, senza che si intraveda un accordo forte per dotare l’Unione di nuove e più efficaci regole istituzionali.

L’inadeguatezza delle istituzioni europee rispetto alle riforme istituzionali potrebbe risolversi se un paese, tra i grandi dell’UE, avesse la statura, la volontà e la credibilità di assumere la leadership di un progetto per fare più grande e internazionalmente rilevante l’Unione. Ma una tale leadership manca.

L’asse franco-tedesco è incrinato da tempo, con la Francia rivolta alla soluzione di problemi di politica interna e la Germania alle prese con la grave crisi politica che coinvolge proprio gli uomini e i partiti che hanno governato il processo di integrazione europea. La Gran Bretagna è sempre euroscettica e fuori dall’Euro. L’Italia è un partner credibile da poco tempo (da quando ha rispettato i criteri per essere tra i fondatori dell’Unione Monetaria), e difficilmente auto-candidabile a un ruolo-guida.

Date le premesse, non ci dobbiamo meravigliare che la nuova Commissione Europea, guidata dall’ex premier Romano Prodi, stenti a recuperare quel ruolo di guida e motore delle istituzioni europee che aveva avuto sotto la presidenza Delors, ma poi perso nella successiva gestione Santer.

Se a questo quadro aggiungiamo un nuovo attore, il Parlamento Europeo, sempre più intenzionato a far sentire la sua voce, ma sempre più spesso prigioniero delle logiche partitiche, e in particolare dello scontro tra Popolari e Socialisti, abbiamo per il 2000 un quadro piuttosto grigio per il progresso della nostra Unione. (http://www.europarl.eu.int)

L’appuntamento da osservare è la Conferenza Intergovernativa (CIG) di revisione del trattato di Amsterdam, che inizierà tra poche settimane (http://europa.eu.int/igc2000/index_it.htm). Oggi ci appare elevato il rischio di sottovalutarla, di interpretarla in chiave minimalista - anche da parte dei media che copriranno l’evento - : se sarà così, ci vorranno anni per recuperare l’Europa dal sentiero di declino nella quale si sarà avviata. La presidenza portoghese, appena insediata, ha dichiarato che intenderebbe ampliare l’agenda della CIG nella logica del rafforzamento l’unità politica dell’Unione e anche il premier portoghese Gutierrez ha fatto recentemente riferimento alla logica della cooperazione rafforzata. (http://www.portugal.ue-2000.pt/uk/frame_presidencia02.htm). Ma a pochi potrà sfuggire che il peso del propositivo Portogallo è troppo lieve per smuovere i "grandi".

Questo moltiplicarsi di voci preoccupate e il rilancio nelle ultime settimane dello strumento della "cooperazione rafforzata" (cioè limitata ai soli paesi che desiderano aumentare il grado di integrazione) dimostra che sta aumentando la coscienza in alcuni singoli paesi membri - purtroppo tra i minori dello schieramento - sui rischi dell’Europa in assenza di scelte coraggiose, che vadano nella direzione di istituzioni capaci di decidere, e su un ampio spettro di materie, non succubi si singoli veti.

Prendere coscienza di un problema rappresenta sempre metà della soluzione. L’altra metà potrebbe venire - o mancare - durante l’imminente revisione del Trattato di Amsterdam. I giorni per decidere sono contati.

 

 

Allegato 1

Le proposte della Commissione Europea sulla riforma istituzionale dell’U.E.

Presentate dal Presidente Prodi al Parlamento Europeo il 26 gennaio 2000

 

Le istituzioni dell’Unione europea:

Parlamento europeo: la Commissione propone di mantenere un numero massimo di 700 deputati europei ed esorta il Parlamento ad elaborare egli stesso un metodo di ripartizione delle sedi nonché esaminare la possibilità di eleggere un certo numero di deputati su liste europee.

Commissione europea: si propone di rivedere la composizione della Commissione europea determinando il numero massimo di commissari in 20 con un sistema rotatorio istituzionalizzato nel Trattato nel rispetto della stretta parità tra Stati membri (il documento indica che in una Unione di 28 membri e 20 commissari, nessuna nazionalità sarebbe assente dalla Commissione durante due mandati successivi). Inoltre la Commissione propone di formalizzare l’impegno di ogni commissario di dare le dimissioni qualora il presidente glielo chieda se egli non rispetta più le condizioni previste dal trattato per esercitare il suo mandato.

La Corte di Giustizia: la Commissione ricorda che ha chiesto ad un gruppo di riflessione presieduto dall’ex presidente della Corte, Ole Due, di riflettere al riguardo (la relazione, definita in collegamento stretto con la Corte ed il Tribunale di Primo Grado, sarà consegnata alla Commissione a fine gennaio) indica che su questa base, presenterà ulteriormente un contributo specifico.

Corte dei Conti: la Commissione propone di determinare il numero dei membri della Corte dei Conti a dodici.

Comitato economico e sociale: la Commissione propone di determinare il numero dei suoi membri ad un livello massimo pari al livello attuale e di sopprimere la ripartizione dei seggi per Stato membro per categoria socioeconomica.

Comitato delle Regioni: la Commissione propone di limitare il numero dei suoi membri al terzo del numero dei deputati europei e di applicare una chiave di ripartizione identica a quella impiegata per il Parlamento.

Il processo decisionale:

· La Commissione propone di trasformare la presa di decisioni a maggioranza qualificata nella norma generale e definire le categorie di disposizioni per le quali ragioni serie e sostenibili giustificano di mantenere l’unanimità;

· Stabilire per tutte le decisioni di tipo legislativo un nesso tra la maggioranza qualificata e la codecisione, ampliare il campo dell’art. 133 (politica commerciale, ex articolo 113) a tutti i servizi, all’investimento e ai diritti di proprietà intellettuale, sopprimere la procedura di cooperazione, prevedere la consultazione obbligatoria del Parlamento europeo prima della conclusione di accordi con Stati terzi od organizzazioni internazionali.

· Esaminare due opzioni, per quel che riguarda la ponderazione dei voti al Consiglio, ossia: o stabilire direttamente nel Trattato una soglia ad un livello inferiore al livello attuale dei 71, per restaurare la rappresentatività della maggioranza qualificata e ritrovare gli equilibri originali, si deve aumentare il peso relativo dei voti degli Stati membri più popolati, ritiene la Commissione, che pensa che potrebbe essere sostenibile iscrivere nel Trattato che una decisione presa a maggioranza qualificata sarà acquisita solo se riunisce almeno la metà degli Stati membri; o, se si rinuncia alla riponderazione, prevedere nel Trattato che una decisione a maggioranza qualificata deve la maggioranza semplice degli Stati membri che rappresentano una maggioranza della popolazione totale. Secondo la Commissione il sistema di doppia maggioranza semplice ha il vantaggio della semplicità e della trasparenza e di non dovere essere modificata per ogni nuova decisione.

· Per le forme di cooperazione rafforzata, non modificare le condizioni di fondo previste nei Trattati. Ma la Commissione propone due modifiche alle condizioni normali previste attualmente per instaurare una cooperazione rafforzata, cioè: fissare a un terzo degli Stati membri, dopo l’ampliamento, il numero minimo di Stati membri necessari per instaurare una cooperazione rafforzata nel quadro del Trattato; sopprimere la possibilità di uno Stato membro di chiedere un’unanime decisione del Consiglio europeo quando si oppone alla decisione di una maggioranza qualificata di Stati membri di autorizzare una cooperazione rafforzata. Inoltre la Commissione suggerisce che si possa instaurare ad alcune condizioni un insieme di cooperazioni rafforzate anche nel settore della politica estera e di sicurezza comune.

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