Le presidenziali americane del 2 novembre 2004


LEFT OF TED. Secondo l'opinionista del «Boston Globe» Peter S. Canellos, il tentativo repubblicano di dipingere John Kerry come un liberal alla sinistra del senatore Edward «Ted» Kennedy potrebbe dare al candidato democratico un inaspettato vantaggio. Nessuno, infatti, si aspetta di vedere il vero John Kerry. Sposato all'ereditiera del ketchup Teresa Heinz, elettrice repubblicana fino a pochi anni fa e di solida opinione cattolica, Kerry non sarebbe incline a posizionarsi alla sinistra di Ted, ma a fianco di Clinton. Il tentativo di dipingerlo come un liberal potrebbe dunque rivelarsi un boomerang per gli strateghi repubblicani. Proprio quando la gran massa degli elettori americani inizia a farsi una prima opinione di voto, Kerry apparirebbe improvvisamente per il centrista che è, spiazzando il fuoco di sbarramento eretto dai suoi avversari. La cosa farebbe il gioco della strategia sinora seguita da Kerry, quella di garantire continuità nel cambiamento. Qui il pensiero va ai molti europei che si aspettano anch'essi un Kerry «left of Ted». Solo che agli europei il vero Kerry apparirebbe molto dopo una sua eventuale vittoria, e questo per via del golfo comunicativo che da sempre rallenta la comprensione tra le due culture politiche (15 luglio 2004).

 

ENTRA EDWARDS. La scelta di candidare John Edwards alla vicepresidenza dà l'avvio definitivo alla campagna elettorale di John Kerry. L'investitura ufficiale dovrebbe giungere durante la Convention democratica di Boston che si terrà dal 26 al 29 luglio. Secondo voci autorevoli, Edwards non sarebbe stato la prima scelta di Kerry. Se fosse stato possibile, il candidato democratico alla presidenza avrebbe scelto il senatore repubblicano John McCain. McCain e Kerry sono amici, e un ticket bipartisan avrebbe dato del filo da torcere a Bush. Edwards sarebbe stato scelto come second best da una rosa di nomi che a quanto si dice comprendeva il governatore dello stato dell'Iowa Tom Vilsack e il veterano Dick Gephardt. La logica che pare aver guidato il bostoniano Kerry nella sua scelta è quella di cercare una sponda al sud, nella regione di provenienza di Edwards, che è senatore della Carolina del Nord. Alcuni si sono stupiti della scelta, che rompe una vecchia regola: mai scegliere come secondo una persona con più carisma del candidato primario. Kerry, infatti, è risultato finora abbastanza scialbo al pubblico americano. Persona assennata, ha preso su di sé tutte le responsabilità di una prosecuzione dell'attuale politica americana senza giocare la carta dell'anti-Bush. Ciò che distinguerebbe la sua presidenza dall'attuale sarebbero i toni e una certa indisponibilità all'esperimento. Edwards potrebbe dunque aggiungere quel non-so-che di carismatico a una candidatura contraddistinta finora dalla sobrietà dei toni e dalla moderazione degli obiettivi. Le malelingue aggiungono che Edwards avrebbe accettato con la riserva che se la corsa di Kerry dovesse finire nel vuoto, egli avrebbe comunque accumulato abbastanza visibilità da candidarsi in prima persona alle presidenziali del 2008. In quel caso, le ambizioni di Edwards e quelle di Hillary Rodham Clinton potrebbero confliggere, ma anche, perché no?, incontrarsi
(10 luglio 2004).

ELEZIONI EUROPEE. Molti imputano all'amministrazione Bush il progetto strategico di voler indebolire l'integrazione europea. Ma le recenti elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo hanno mostrato come le più forti tensioni disgregatrici siano all'interno dell'Unione, non al suo esterno. Ora, se a questo Parlamento dovesse essere affiancata un'altra presidenza politicamente debole, e se alla ratifica dall'alto di un documento intergovernativo impropriamente chiamato «Costituzione» dovesse seguire l'abrogazione per via referendaria, a quel punto sarebbe difficile dare la colpa della débâcle all'unilateralismo della presidenza Bush. O sperare inopinatamente che l'eventuale elezione di John Kerry cambi questo stato di cose, che in realtà dipende solo dall'inefficacia delle recenti politiche per l'integrazione europea
(15 giugno 2004).

JOHN McCAINE. Dopo mesi in cui era circolata la voce secondo cui John Kerry avrebbe potuto scegliere il senatore repubblicano dell'Arizona John McCaine quale vice nella corsa alla presidenza, ora i soliti bene informati sottolineano come la cosa sia definitivamente sfumata. Si tratta certamente di un colpo per Kerry. Il duo Kerry-McCaine sarebbe stato un ticket presidenziale molto forte, soprattutto perché l'unione di un democratico e di un repubblicano avrebbe segnalato all'elettorato l'eccezionalità del momento. In altre parole, si sarebbe detto che battere Bush è di estrema importanza non per una parte politica, ma per l'intero paese (15 giugno 2004).

ONU. Quello che si andava ormai preparando da mesi, il ritorno dell’Onu a un ruolo più attivo in Iraq, è finalmente avvenuto. Grazie a un compromesso tra le parti, le forze della coalizione cedono il mandato di forza occupante alla ricostituita sovranità irachena, e la Francia, la Germania e la Russia rinunciano al loro veto. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna possono così iniziare quel disimpegno che prevedono di completare, in tempi record, entro il gennaio 2005. Dal canto loro, la Francia, la Germania e la Russia possono dire di aver umiliato la coalizione, prevenendo in futuro ogni altra azione unilaterale. Per soprammercato, ora che vi è stato un ritorno alla sovranità irachena, la Francia e la Russia avranno qualche titolo in più per far valere i contratti stipulati con il dittatore Saddam Hussein e bloccati dall’embargo dell’Onu. È presto per dire se l’accordo porterà a vantaggi elettorali per Bush. Dipenderà dalla reazione della cosiddetta resistenza irachena, che molti temono non si farà attendere (10 giugno 2004).

GREATER MIDDLE EAST INITIATIVE. Da mesi ormai si andavano raccogliendo voci su di un progetto statunitense per il riassetto dell’intera area del Medio Oriente. Il disegno, presentato al G-8 in corso a Sea Island nello stato americano della Georgia, dovrebbe dare statura visionaria a Bush, il quale si appresterebbe a spostare la sua azione dal campo militare a quello del lavoro diplomatico. Dalle reazioni degli alleati già si delinea il ritorno di uno dei più classici dilemmi sul futuro della regione, il conflitto israelo-palestinese. Gli europei, in particolare, sono convinti che nulla si potrà fare senza prima risolvere la questione dei confini tra Israele e i territori palestinesi. L’Amministrazione, su questo punto, mantiene il parere opposto. Finché l’intera area non sarà in pace non si riuscirà a mettere mano al conflitto israelo-palestinese (10 giugno 2004).

COPPER GREEN. Man mano che si diffondono le notizie sulle direttive dell’amministrazione Bush riguardo lo status giuridico dei prigionieri di guerra, aumenta la possibilità che queste direttive divengano materia su cui gli elettori verranno chiamati a giudicare l’operato dell’Amministrazione il 2 novembre. Esisterebbe infatti un memo, redatto dagli esperti legali del Dipartimento della Giustizia, secondo cui, su di un ordine esecutivo della Presidenza, taluni prigionieri di guerra non cadrebbero sotto la totale protezione delle Convenzioni di Ginevra. Il rifiuto di John D. Ashcroft di rendere pubblico questo memo è grave e preoccupante. Altrettanto gravi e preoccupanti sono le notizie contenute nel rapporto reso noto dal «New Yorker» che ha smentito con dovizia di particolari la tesi secondo cui ad Abu Ghraib ad aver agito siano state solo alcune guardie poco addestrate e inclini al sadismo. Dovendo combattere una guerra globale, già nel 2001 il governo americano avrebbe messo in piedi un SAP (Special-Access Program, in codice Copper Green), il quale avrebbe garantito autonomia esecutiva alle truppe sul terreno. In altre parole, grazie al codice d’accesso SAP, le forze speciali impegnate sul campo potevano agire senza prendere contatto con i vertici se ritenevano che attendere ordini avrebbe pregiudicato alla missione. Il risultato è stato che, con l’estendersi di questo conflitto senza confini spazio-temporali, aree sempre maggiori d’azione sono finite sotto la copertura del SAP inizialmente aperto. Dunque, se è vero che chi si trova ad agire sotto un codice SAP agisce per conto suo, è altrettanto vero che le sue azioni ricadono comunque sotto l’autorità che ha concesso la copertura del SAP. Chi ha istruito il SAP è responsabile delle azioni dei carcerieri di Abu Ghraib, quanto meno per negligenza. Rumsfeld e Bush dovranno continuare a dare spiegazioni al popolo americano sul perché un codice d’accesso riservato alle forze speciali si sia esteso a coprire l’operato di semplici carcerieri e con quali risultati(10 giugno 2004).

SADDAM E BIN LADEN. La commissione d'inchiesta sui fatti dell'11 settembre 2001 ha concluso che non vi è alcun legame tra gli attacchi terroristici di quel giorno e il regime dispotico di Saddam Hussein. Ancora una volta viene esposta la strategia dell'Amministrazione che mirava a fornire un pretesto qualsiasi per giustificare la tempestività dell'attacco all'Iraq(7 giugno 2004).

D-DAY. Il sessantesimo anniversario dello sbarco in Normandia ha fornito al presidente Bush una magnifica opportunità per ribadire un caposaldo della visione del mondo americana e, al contempo, rimarginare alcune ferite recenti. La vittoria contro il nazi-fascismo, ottenuta in Europa e nel Pacifico, non è per gli americani una cosa che possa essere messa da parte e dimenticata. Senza di essa non vi sarebbe stata alcuna unione tra gli europei che non fosse quella pensata da Mussolini e da Hitler. Migliaia di americani sono morti sulle spiagge di Omaha Beach per liberare la Francia dal governo collaborazionista di Petain, uno dei peggiori governi fascisti che si siano mai visti. Questo è qualcosa che Jacques Chirac non può mettere sotto uno zerbino, e Bush lo sa. Ma anche Bush si trova costretto ad ammettere che senza l’appoggio dei francesi e dei russi,
e quindi dei tedeschi, ogni ulteriore azione per difendere la libertà nel mondo rischia di fallire al soglio dell’Onu. Con i risultati che l’Iraq ha mostrato chiaramente alle pragmatiche menti americane (6 giugno 2004).

TORTURE, ABUSI, DISIMPEGNO. Il presunto candidato democratico John Kerry non pare aver preso la palla al balzo per trasformare i fatti di Abu Ghraib in un'arma contundente contro il suo avversario. Se lo avesse fatto avrebbe dovuto sposare la tesi secondo cui le sevizie inflitte ai detenuti iracheni sarebbero state eseguite su ordine superiore e avrebbe dovuto chiedere la testa del ministro della Difesa in un momento assai delicato. Condannando i fatti come il frutto di abusi, e non come torture sistematiche, Kerry può chiedere il conto politico a Bush senza per questo dover «demoralizzare» le truppe impegnate in Iraq chiedendo le dimissioni di Rumsfeld. È questo infatti il tranello che i repubblicani tendono da tempo a Kerry: se le sue critiche si facessero troppo aspre, l'aspirante presidente si esporrebbe come un pessimo candidato a divenire il comandante in capo delle forze armate, titolo che accompagna quello di presidente degli Stati Uniti. Per continuare a essere un candidato «elegibile» Kerry deve essere critico senza sembrare cinico, deve essere costruttivo e non esigere soluzioni disfattiste che comprometterebbero l'onore delle truppe impegnate in operazioni militari. In altre parole, Kerry non può permettersi di pretendere soluzioni di fuga alla Zapatero, e infatti l'unico a chiedere oggi il ritiro incondizionato delle truppe dall'Iraq è Ralph Nader, l'esponente verde che con la sua candidatura velleitaria ha di fatto regalato la vittoria a George W. Bush durante le scorse presidenziali. Quindi a tutt'oggi Kerry non ha differenziato di molto le sue posizioni sull'Iraq da quelle del presidente in carica. È da notare che, nel mantenere questa posizione, Kerry è stato molto aiutato dalla recente svolta «internazionalista» messa in atto dallo stesso Bush. Nelle prossime settimane, comunque, Kerry dovrà sforzarsi di specificare meglio la sua posizione, anche alla luce della crescente voglia di disimpegno che i sondaggi paiono cogliere nell'opinione pubblica americana
(27 maggio 2004).

«CATCH 22». Con il termine «catch 22», il football americano indica una situazione di stallo. L'esperrione è parte del vocabolario comune di ogni americano e viene usato per designare un dilemma insolubile. Oggi la situazione in Iraq pare essere giunta a un «catch 22». Se all'inizio l'azione militare in Iraq fu giustificata con la necessità di togliere le armi di distruzione di massa a Saddam Hussein, al loro mancato ritrovamento si è passati a una giustificazione più ampia, quella fornita dalla brutalità del suo regime. La diffusione delle incredibili immagini delle efferatezze compiute dai carcerieri americani e inglesi in Iraq confuta anche questa seconda giustificazione. Ma non è questo il «catch 22» a cui ci riferiamo. L'indecidibilità della situazione è data dal fatto che, in entrambi i casi, non ci sarebbe voluto molto a nascondere l'evidenza dei fatti. Un semplice barile di sostanze radiologiche avrebbe confermato la prima giustificazione. Una banale sorveglianza dei sorveglianti avrebbe impedito a un gruppo di torturatori improvvisati di documentare le proprie azioni per sport. Il fatto è che in nessuno dei due casi si è provveduto a mentire o nascondere le prove. Gli Stati Uniti e la Gran Bretagna sono le due democrazie più antiche del pianeta, e si vede. Anche quando danno il peggio di sé, lo fanno senza mettere in piedi muri di gomma. Chi ha sbagliato paga. E Bush ha sbagliato. Se il popolo americano uscirà da questo stallo dando più rilievo all'efficienza dei controlli di sistema, che pare abbiano funzionato, Bush potrà agevolmente superare la crisi. Ma se gli elettori inizieranno a dare più importanza a ciò che è realmente accaduto nella prigione di Abu Ghraib, e al fatto che chi doveva prevenire non ha prevenuto, ecco che si produrrà la prima seria falla alle speranze di rielezione del presidente in carica
(5 maggio 2004).

FANGO. Girano sempre più insistenti le voci secondo cui John Kerry avrebbe partecipato a riunioni di un gruppo maoista al suo rientro dal Vietnam. Alle accuse Kerry risponde chiedendosi, retoricamente, dove fosse il riservista Bush durante la guerra. Nessuno sa dirlo con precisione, visto che alcuni dossier non si trovano più. Eccoci dunque a un curioso crocicchio della campagna del 2004: a fronteggiarsi sono un candidato eroe di guerra che si scopre pacifista e un
war president che, con una certa sicurezza, ha azionato ogni leva politica in suo possesso per evitare di finire al fronte
(27 aprile 2004).

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