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Contro il liberalismo debole

Against Weak Liberalism

Categoria/Category
Anno XXXIX, n. 176, 177 luglio-dicembre 2004
Editore/Publisher
Centro Einaudi

Abstract

Questo articolo contiene un’analisi critica della «teoria della giustizia» formulata da John Rawls nel libro omonimo, e ripresa di recente, con modifiche solo su punti sostanzialmente minori, in Political Liberalism. Le maggiori obiezioni rivolte da Boudon alla teoria rawlsiana sono due. In primo luogo, Boudon rimprovera al filosofo americano di approdare, in Political Liberalism, a una concezione di liberalismo politico talmente estenuata da perdere di significato, da poter essere qualificata come nulla più che «liberalismo del signor Chiunque». In secondo luogo, Boudon contesta la pretesa della teoria rawlsiana all’«equilibrio riflessivo», ossia all’accordo con quelle che sarebbero le percezioni del «senso comune». Una serie di esperimenti, citati da Boudon, dimostrano che la soluzione rawlsiana ai problemi di giustizia sociale (il cosiddetto «maximin») non è affatto quella che raccoglie il maggior consenso «intuitivo», anzi risulta del tutto minoritaria. Boudon conclude con un interrogativo: è davvero immaginabile accontentarsi di una teoria della giustizia di tipo procedurale, vietandosi qualunque riflessione sulla legittimità dei fini?

This article contains a critical analysis of the theory of justice formulated by John Rawls in his famous book of the same name, and recently reiterated with basically minor alterations in Political Liberalism. Boudon has two main objections to make against Rawls’s theory. First, he argues that the American philosopher’s conception of liberalism in Political Liberalism is now so threadbare as to be virtually meaningless – so much so that it might even be termed as no more than the liberalism of the man in the street. Secondly, Boudon questions Rawls’s theory’s assumption of reflexive equilibrium, of agreement, that is, with the alleged perceptions of common sense. Boudon cites a series of experiments to demonstrate that Rawls’s solution to the problem of social justice – the so called ‘maximin solution’ – is by no means the one that enjoys the greatest intuitive consensus: on the contrary, it proves to have only a minority following. Boudon concludes with a question: is it really imaginable for us to content ourselves with a procedural theory of justice without even attempting reflection on the legitimacy of its ends?